Per Aristotele la politica era l’arte di governare la città. Si afferma infatti intorno al VI secolo a.C. quando l’organizzazione della città-stato (la “polis” appunto) si sostituisce progressivamente a quella, regale o sacrale, di esercizio della sovranità. Si tratta, ad ogni modo, di una forma di arte che viene praticata soltanto da una ristretta elìte di uomini liberi, restandone esclusi gli schiavi, le donne e gli stranieri. D’altro canto, la mancata partecipazione, o ancor di più il disinteresse verso l’amministrazione della società civile, viene dai Greci di allora ritenuta una vera e propria forma di inettitudine, al punto da definire “idiota” chi vive chiuso nel suo mondo privato, ignorante in merito all’interesse collettivo ed alla compatibilità tra i propri diritti e i propri doveri.
Premesso quanto sopra, quando io penso all’amministrazione della “cosa pubblica”, al governo di un Paese, sia esso piccolo o grande, non posso non ritenerla un’arte vera e propria. Talmente fine, complessa ed impegnativa che pochi uomini hanno saputo, nel corso dei secoli, attenersi al senso proprio del termine e governare con “scienza e coscienza”.
Oggi, addirittura, ci si improvvisa “politici”, ritenendo che chiunque possa accedere agli scranni più alti di una Istituzione (come il Parlamento ad esempio) e che sia facile riuscire in una impresa che appare, invece, ardua e che necessita inevitabilmente di conoscenza e saperi anche attinenti a campi diversi. Ho sempre ammirato quei Paesi, come la Francia ad esempio, che fanno della “politica” una vera e propria disciplina che va studiata ed appresa per poter intraprendere la carriera politica. Lo è senz’altro. Chi decide di dedicarsi alla “cosa pubblica” deve conoscerne la storia, le vicende, i protagonisti; deve avere nozioni di storia, appunto, nazionale ed internazionale, di filosofia, di diritto pubblico, privato ed amministrativo, di economia, geopolitica e relazioni internazionali. Deve conoscere le lingue straniere. Deve essere un abile oratore. E deve naturalmente possedere valori come la Lealtà, l’Onestà, l’Amor Proprio. Perché soltanto con uno spessore umano e culturale di questo genere si potrà attuare quella forma di democrazia così lucidamente descritta da Pericle nel suo “Discorso agli Ateniesi” del 431 a.C. (Tucidide, Storie, II, 34-36)
Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così”