Quando si parla di fonti del diritto si rimanda all’immagine naturalistica della sorgente da cui sgorgano le norme giuridiche da applicare nel territorio di uno Stato.
Ecco perché, quando nel settore della navigazione, si fa riferimento alle fonti, si assume come punto di partenza l’art. 1 del Codice della Navigazione a norma del quale “In materia di navigazione, marittima, interna ed aerea, si applicano il presente codice, le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi ad essa relativi. Ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile”.
Normalmente faccio presente ai miei studenti che il Codice della Navigazione è entrato in vigore nel 1942 e che, quindi, la norma de qua va riletta alla luce della Costituzione repubblicana (in vigore dal 1° gennaio 1948) e delle numerose Convenzioni internazionali che si sono susseguite a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso a seguito della istituzione di numerosi organismi sovranazionali (Comunità Europee poi confluite nella Unione Europea, ONU, IMO etc.) la cui produzione normativa va ad innestarsi su quella nazionale di ciascuno Stato membro.
Se volessimo considerare l’articolo summenzionato nella sua stesura originaria dovremmo tener conto del fatto che le disposizioni del Codice della Navigazione, nel settore marittimo, costituiscono norme di carattere generale e, pertanto, le leggi che sono state e che vengono emanate dagli organi costituzionali a ciò deputati (Parlamento, Governo, Consigli regionali) costituiscono norme di carattere speciale.
Ne deriva che, se queste ultime sono anteriori al Codice, esse restano in vigore in quanto la norma generale successiva non deroga quella speciale precedente (lex posterior generalis non derogat legi priori speciali); se, di contro, esse sono posteriori al Codice, modificano o integrano l’ordinamento stabilito dallo stesso.
Va ricordato che in materia di navigazione la legislazione spetta oltre che allo Stato anche alle Regioni e che bisogna distinguere tra Regioni a Statuto speciale – le quali possono emanare norme relative alla pesca, alle comunicazioni ed i trasporti, le linee marittime e la costruzione e manutenzione dei porti – e Regioni a Statuto ordinario che, invece, hanno competenza legislativa c.d. “concorrente”, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., e che quindi si limitano ad una legislazione di dettaglio spettando la disciplina di settore (le linee guida) allo Stato.
Detto ciò, continuiamo ad analizzare il testo dell’art. 1 del Codice della Navigazione.
Dopo le norme del Codice stesso e le leggi (a cui si aggiungono gli atti aventi forza di legge come decreti legge e decreti legislativi) si collocano i regolamenti, che hanno la funzione di integrare la legge ma non possono disporre in maniera contraria o abrogarla. Tra i regolamenti, si segnalano quelli governativi o ministeriali e quelli emanati dagli organi locali dell’amministrazione marittima.
Le norme corporative non hanno più vigore a seguito dell’abrogazione dell’ordinamento corporativo (avvenuta nel 1944) e ad esse sono subentrate le norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Poi, l’art. 1 del Codice della Navigazione fa riferimento agli usi che, nel settore, sono particolarmente rilevanti. Essi sono efficaci indipendentemente da un loro richiamo nelle materie che non risultano regolate dalla legge o dai regolamenti; mentre hanno efficacia solo se richiamati nelle materie che risultano già disciplinate dalle leggi o dai regolamenti.
Il richiamo all’analogia merita un chiarimento perché con questo termine (o con il termine analogia legis) ci si riferisce ad una operazione logica che consente di individuare la norma applicabile ad un caso concreto che non trova diretta e specifica regolamentazione. Ovvero, non esiste una norma che disciplina quella specifica casistica ed allora essa verrà disciplinata da una norma che regola un caso simile (ad esempio, viene normalmente applicata la disciplina della navigazione aerea ai veicoli spaziali).
Soltanto nel caso in cui neanche in via analogica si riesca a normare una circostanza o un caso specifico, allora si ricorre al diritto civile inteso come diritto comune, cioè al complesso delle norme di ogni ramo del diritto (civile, penale, amministrativo, commerciale etc.). Infine, ove nonostante l’attività di ricerca operata nell’ambito del diritto comune, ancora sussistano lacune, si ricorrerà alla c.d. analogia juris ovvero ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
Inizialmente si è precisato che la norma di cui si discute va riletta alla luce dell a Costituzione del 1948 e della produzione normativa degli organismi sovranazionali.
Orbene, è ovvio che nessuna disposizione di legge potrebbe risultare in contrasto con i principi costituzionali e quindi la Costituzione si pone al vertice della gerarchia delle fonti del diritto della navigazione. Così, anche le norme della Unione Europea e degli altri organismi internazionali di cui l’Italia fa parte non possono mai risultare in contrasto con la Costituzione italiana, sebbene rivestano, nella gerarchia delle fonti, lo stesso livello delle leggi nazionali, sia nel caso che risultino direttamente applicabili sul territorio dello Stato (come accade per i Regolamenti europei) sia nel caso in cui debbano essere ratificati dagli organi costituzionali competenti per essere vincolanti a tutti gli effetti per lo Stato italiano e tutti i suoi cittadini (come accade solitamente per le Convenzioni internazionali).