L’art. 32 della Costituzione recita testualmente “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Diversamente dallo Statuto Albertino, la Costituzione repubblicana qualifica la salute come diritto fondamentale dell’individuo e, al tempo stesso, come interesse primario della collettività. E va evidenziato che quella italiana è la prima Carta europea a riconoscere e tutelare questo diritto.
Il primo comma della norma prevede un generico diritto di prestazione sanitaria in favore di tutti coloro che risiedono ed operano sul territorio dello Stato (rectius: non solo cittadini italiani). Agli indigenti, e cioè a coloro che versano in condizioni di bisogno economico, devono essere garantite cure gratuite.
Il secondo comma dell’articolo de quo pone, inoltre, due limiti all’intervento dello Stato:
1. Solo la legge può obbligare l’individuo ad un determinato trattamento sanitario (si ricordi che sono ammessi trattamenti sanitari obbligatori solo se necessari per la tutela della salute della collettività);
2. La legge non può violare i limiti imposti al rispetto della persona umana.
Ne deriva che il diritto di cui si discute è allo stesso tempo un diritto individuale ed un diritto collettivo e gode, pertanto, di una tutela rinforzata rispetto a tutti gli altri diritti sanciti dalla Costituzione.
Merita un cenno, prima di affrontare il merito dell’argomento oggetto di questo articolo, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ad opera della L. n. 833 del 1978 con la quale si è di fatto esteso l’obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti ma anche a tutta la popolazione (gratuitamente o semi-gratuitamente attraverso il pagamento dei c.d. tiket) passando così da un sistema di previdenza sociale (mediante il quale i cittadini ricevono assistenza solo dopo il versamento di «contributi» agli enti mutualistici di appartenenza) a un sistema di sicurezza sociale generalizzato garantito appunto dal SSN. Quest’ultimo si è rivelato, tuttavia, nel corso degli anni, sempre più costoso ed inefficiente: a fronte di costi di gestione enormi venivano spesso offerti servizi scadenti, con gravi disagi per i malati e per le persone bisognose di cura e assistenza. Nel 1992, pertanto, si è proceduto a trasformale le Unità Sanitarie (US) in Aziende (le c.d. ASL) dotate di autonomia imprenditoriale e improntate, almeno nelle intenzioni, a criteri di efficienza ed efficacia.
Detto ciò, tornando al core dell’argomento, proviamo a individuare le libertà ed i diritti costituzionali che nei mesi scorsi – per effetto di numerosi provvedimenti normativi dettati dalla grave esigenza sanitaria determinata dalla pandemia in corso – sono risultati essere limitati se non del tutto compromessi.
Un elenco, probabilmente nemmeno esaustivo, ha visto pressoché svuotati di contenuto diritti e beni costituzionalmente garantiti:
– Libertà di circolazione, soggiorno ed espatrio (articolo 16 Cost.),
– Libertà di riunione (articolo 17 Cost.)
– Libertà di esercizio dei culti religiosi (articolo 19 Cost.)
– Libertà di insegnamento (articolo 33 Cost.)
– Libertà di iniziativa economica (articolo 41, primo comma. Cost.).
Orbene, quando si verificano circostanze particolari in cui sorge l’esigenza di tutelare la salute delle persone, dovrebbe attuarsi un bilanciamento tra beni costituzionalmente garantiti, che vede il prevalere del “fondamentale” diritto alla salute sugli altri e offre al legislatore una sorta di ‘scriminante’ per la contrazione, totale o parziale, delle libertà concorrenti. Tale prevalenza, peraltro, non è affidata al giudizio discrezionale del legislatore, ma è sancita formalmente dalla stessa Costituzione, che espressamente stabilisce, ad esempio, che le libertà di circolazione e soggiorno sul territorio dello Stato (art. 16) possano essere limitate per “motivi di sanità o di sicurezza” e che le riunioni in luogo pubblico (art. 17) possano essere vietate per “comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica”. Il bilanciamento tra diritti costituzionalmente garantiti prevede il verificarsi di circostanze oggettive che lo giustifichino, ed il presupposto è stato “oggettivizzato”, nel caso di specie, il 31 gennaio 2020, il giorno successivo alla notizia dei primi casi di contagio da Coronavirus in Italia, quando il Consiglio dei Ministri ha deliberato lo “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, con un provvedimento fondato sull’esercizio dei poteri in materia di protezione civile previsti dal D. lgs 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della Protezione Civile). In quella circostanza è stato riservato al Governo il potere di dichiarare la sussistenza di uno stato emergenziale e, quindi, di autolegittimarsi all’adozione di misure di carattere straordinario. L’11 Marzo 2020 l’OMS ha dichiarato l’influenza da Coronavirsu «PANDEMIA GLOBALE». Nessun dubbio, pertanto, che si sia verificata una situazione tale da legittimare il Governo all’adozione di misure limitative al godimento di libertà individuali pur tutelate a livello costituzionale. Più complesso appare, invece, individuare i limiti di tale potere e le reali possibilità di controllare ed evitare l’eventuale sforamento di tali limiti. Fino a qualche mese fa, il Governo ha gestito l’emergenza attraverso i DPCM (Decreti Presidente del Consiglio dei Ministri) che sono atti amministrativi e non legislativi. Il Parlamento, dopo due mesi di compressione dei diritti di libertà, ha pertanto invitato il Governo a utilizzare lo strumento dei Decreti Legge (art. 77 Cost.) in modo da partecipare all’attività normativa relativa alla pandemia, seppur solo attraverso il procedimento di conversione dei decreti. Il Governo si è sostituito anche alle Regioni nella produzione normativa ad esse affidate dall’art. 117 Cost. per effetto del disposto del successivo art. 120 secondo cui «Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso … di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica”. Sono state, inoltre, previste sanzioni per la violazione dei divieti imposti ed inasprite le pene per i
reati previsti in campo sanitario come quello di «epidemia colposa» ed «epidemia dolosa». Ma la produzione normativa in materia sembra inesauribile. Si continua tutt’oggi a disporre con provvedimenti che limitano di fatto le libertà individuali a fronte del superiore diritto alla salute della collettività che va tutelato e prevale al fine di impedire il diffondersi dei contagi. Si pensi alla recente ordinanza del Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca (n. 79 del 15 ottobre 2020) che ha disposto la sospensione delle attività didattiche in presenza sull’intero territorio regionale per due settimane ed in considerazione dell’aumento dei contagi sul medesimo che di fatto anticipa ulteriori restrizioni alle libertà individuali annunciate negli ultimi giorni dal Governo. Il tutto in attesa di un vaccino da parte delle numerose aziende farmaceutiche che ne stando effettuando la sperimentazione e di una normativa forse più omogenea e compromissoria che tenga conto dei diritti costituzionalmente garantiti e degli effetti devastanti che la loro, seppur temporanea, limitazione potrebbe comportare sulla vita di tutti i cittadini italiani.