L’art. 10 della Costituzione italiana recita “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”. L’Italia, dunque, mostra con la norma de qua una generica adesione alle consuetudini internazionali, intendendosi per esse prassi comportamentali a cui è collegata la convinzione di osservare un precetto normativo. Più specificamente, può affermarsi indiscutibilmente che la consuetudine sia un comportamento costantemente ripetuto nel tempo (elemento definito “diuturnitas”) assunto con la convinzione di osservare un precetto di legge (elemento definito “opinio iuris ac necessitatis”). Sono solita portare ai miei studenti l’esempio del rispetto che viene normalmente assunto nei confronti dei convogli della Croce Rossa in zone di guerra. Nel secondo comma della norma costituzionale di cui si sta discorrendo, li’ dove si parla di “straniero” bisogna considerare tali tutti coloro i quali non sono cittadini italiani. E qui merita un breve cenno la legge n. 91/92 a norma della quale, schematicamente e molto succintamente, la cittadinanza in Italia si acquista:

1. Per ius sanguinis cioe’ quando almeno uno dei due genitori è cittadino italiano

2. Per ius soli cioè per nascita “sul suolo” o territorio italiano da genitori apolidi o ignoti (si pensi al neonato abbandonato e rinvenuto in un cassonetto dell’immondizia)

3. Per matrimonio con un cittadino italiano (ma occorre anche un periodo di effettiva residenza)

4. Per adozione da parte di almeno un genitore cittadino italiano

5. Per residenza stabile sul territorio italiano per almeno dieci anni (da parte di extracomunitari) o per almeno quattro (da parte di cittadini comunitari).

L’art. 10 continua poi facendo riferimento al “diritto di asilo” (dal latino “asilus” che sta per “rifugio”) ed alla concreta possibilità – per lo straniero che lo invocasse ove nel suo Paese gli venisse di fatto impedito l’esercizio dei diritti democratici garantiti dalla nostra Costituzione – di ottenere assistenza e tutela in quanto essere umano a cui vanno dalla comunità internazionale garantiti quei diritti che gli appartengono da sempre ma che hanno trovato il giusto riconoscimento soltanto con la Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948 e con la Convenzione di Ginevra del 1951. L’art. 10 della Costituzione menziona, infine, l’istituto della “estradizione” ovvero quello strumento di cui dispongono gli Stati per ottenere da altri la riconsegna di un proprio cittadino che abbia commesso un reato al fine di dare esecuzione ad una pena detentiva (estradizione esecutiva) o ad un processo (estradizione processuale). Ecco, la norma in parola dispone che l’Italia non ammette questo tipo di strumento per gli stranieri che abbiano commesso nei loro paesi d’origine reati c.d. “politici” ovvero al solo scopo di opporsi a regimi che non consentono l’esercizio di libertà democratiche. L’art. 10, dunque, trova la sua giusta collocazione nell’ambito dei primi dodici articoli della Costituzione (non per nulla definiti dai Padri Costituenti “Principi Fondamentali”); rappresenta una chiara “apertura” dell’Italia verso la comunità internazionale e risulta strettamente collegata alla successiva, espressione del principio pacifista che contraddistingue da sempre il nostro Paese.