Di Diritti Umani si parla e anche tanto. Oggi che la pandemia globale ci ha letteralmente imposto un ordine gerarchico che ha visto il prevalere del diritto alla salute sugli altri, ci siamo soffermati spesso a riflettere sulla importanza di questi altri … sbiaditi, limitati, compressi eppure così necessari al nostro vivere quotidiano. Chi di noi non si è sentito imprigionato nelle nostre stesse abitazioni? Chi non ha tentato anche solo con il pensiero di evadere? Chi non ha fatto fatica a rinunciare al lavoro, allo studio, allo svago? Chi non ha scalpitato per non potersi recare al mare, in montagna, in chiesa, in casa di amici e/o di amanti?
Eccoli … sono tutti questi ed altri ancora. Sono tanti, sono trenta e sono stati codificati nel 1948 dai rappresentanti dei Paesi che qualche anno prima avevano dato vita all’ONU, l’organizzazione internazionale che avrebbe dovuto garantire la pace e la giustizia tra gli Stati del mondo all’indomani della seconda guerra mondiale, dalla quale erano usciti tutti sconfitti sebbene qualcuno ammantato da vincitore.
La Dichiarazione dei Diritti Umani venne firmata con uno scopo ben preciso, che troviamo espresso magnificamente nel suo preambolo, dove si afferma che è quello di costituire “un ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione”.
Certo, era e resta uno scopo impegnativo. Non tutti i diritti e le libertà menzionati dalla Dichiarazione hanno trovato a distanza di settantadue anni pieno riconoscimento dagli Stati firmatari. Tanti restano “lettera morta” pure in Paesi che per formazione e tradizione vengono definiti “civili”. L’uguaglianza non è affatto garantita e i recenti episodi a sfondo razziale avvenuti a Parigi e a Minneapolis ne sono un esempio lampante; per non parlare delle differenze di genere, ancora così marcate in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia mediorientale. La pena di morte è ancora adottata in diversi paesi del mondo, come la tortura in carcere ed i processi sommari agli imputati. Le condizioni di lavoro appaiono pessime in moltissimi Stati del mondo ed in altrettanti non viene garantito il diritto all’istruzione ed allo svago a tanti bambini, ragazzi e ragazze in età scolare. La strada appare, dunque, ancora lunga e tortuosa, ma in tanti hanno compreso, durante il percorso già intrapreso, che nulla potrà mai calpestare i nostri diritti fondamentali fino a ridurli in brandelli, come avvenne da parte dei totalitarismi del XX secolo. Ci sarà sempre qualcuno (e potremmo esserlo noi stessi!) che stigmatizzerà comportamenti non in linea con il rispetto necessariamente dovuto a questi sommi diritti e che tenterà pertanto, in un modo o nell’altro, di ostacolarne la diffusione. L’esistenza di persone di questo tipo determinerà l’incessante pulsare di quell’ideale che, come nelle intenzioni di chi scrisse il testo della Dichiarazione dei Diritto Umani, dovrà costituire il motore portante nonché cuore della intera Umanità.