Nati come luoghi di rifugio, nei quali le navi potevano trovare riparo da pirati e tempeste, i porti si sono presto convertiti in luoghi in cui avveniva la “rottura del carico” con relativo deposito delle merci più varie al fine di consentirne la commercializzazione. Peraltro, le assicurazioni, la finanza, i crediti cambiari e molti altri istituti del diritto dell’economia nascono e si sviluppano in alcune città proprio in funzione dei traffici marittimi serviti del relativo porto e gestiti dalla comunità portuale in esso localizzata. Solo in tempi recenti, invece, in un’ottica volta a collegare il porto al suo entroterra, esso si è trasformato da luogo di sosta delle navi in uno spazio funzionale al passaggio delle merci verso la loro destinazione finale. Da un punto di vista giuridico, i porti sono beni del demanio marittimo e come tali inalienabili, non usucapibili ed inespropriabili.
Pur primeggiando quali fonti del diritto portuale le normative internazionali e comunitarie, le principali fonti applicabili al comparto portuale sono tutt’ora di diritto interno. In particolare, la legge 84/1994 si pone come fonte normativa di riordino complessivo del settore portuale, comprensiva anche della novella del 2016 (D.Lgs 169/2916) e del successivo “correttivo” porti del 2017 (D.Lgs 232/2017).
La l. 84/1994 suddivide i porti italiani in due categorie: alla prima appartengono i porti finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato, alla seconda quelli di rilevanza economica con funzioni commerciale e logistica, industriale e petrolifera, di servizio passeggeri, peschereccia, turistica e da diporto.
I porti di questa categoria vengono, poi, ripartiti in tre diverse classi correlate alla loro rilevanza internazionale (I classe), nazionale (II classe) e regionale (III classe) e la loro appartenenza a ciascuna di queste tre classi viene stabilita con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) tenuto conto dell’entità del traffico globale, della capacità operativa degli scali e del livello di efficienza dei collegamenti con l’entroterra. Sono state istituite sedici Autorità di Sistema Portuale (le c.d. AdSP) ovvero enti pubblici non economici dotati di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare e finanziaria e sottoposte alla vigilanza del MIT, ai quali viene affidato un ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento. Le sedici AdSP hanno sede nel porto principale di aree comprensive di più porti e sono definite come AdSP del:
– Mar Ligure occidentale, Mar Ligure orientale
– Mar Tirreno settentrionale, Mar Tirreno centro-settentrionale, Mar Tirreno centrale, Mar Tirreno meridionale,
– Mare di Sardegna
– Mare di Sicilia occidentale, Mare di Sicilia orientale
– Mar Ionio, dello Stretto di Messina
– Mare Adriatico meridionale, Mare Adriatico centrale, Mare Adriatico centro-settentrionale, Mare Adriatico settentrionale, Mare Adriatico orientale
Sono organi delle AdSP il Presidente, il Comitato di Gestione, il Collegio dei revisori dei conti. Presso ogni AdSP è istituito l’Organismo di partenariato della risorsa mare composto oltre che dal Presidente dell’AdSP, dal comandante del porto ovvero dai rappresentanti di tutti i soggetti operanti nel porto (armatori, industriali, spedizionieri, raccomandatari marittimi, operatori del turismo etc.).
Nei porti sedi di AdSP sono di competenza di tale autorità:
-la disciplina delle operazioni portuali;
-la disciplina delle concessioni di aree e banchine;
– la disciplina delle attività che si svolgono nel porto;
Nei suddetti porti invece sono di competenza dell’autorità marittima le funzioni di polizia e sicurezza previste dal codice della navigazione e dalle leggi speciali ed i servizi tecnico-nautici (pilotaggio, rimorchio, ormeggio e battellaggio).
Nei porti vengono svolte numerose attività che prendono il nome di operazioni portuali e che consistono nella movimentazione della merce e di ogni materiale in ambito portuale. Lo svolgimento di dette operazioni è subordinato al rilascio di apposita autorizzazione da parte della AdSP in presenza di requisiti di carattere personale e tecnico-organizzativi, di capacità finanziaria, di professionalità degli operatori e delle imprese richiedenti. Inoltre, le operazioni anzidette sono soggette a vigilanza e controllo dell’AdSP e possono essere limitate in considerazione della funzionalità del porto.
L’impresa che opera in porto in forza dell’autorizzazione di cui sopra può, inoltre, disporre in modo esclusivo di banchine portuali, che costituiscono oggetto di apposita concessione, ossia di un terminal in porto. Viene, pertanto, definita impresa terminalista (o terminal operator). Quest’ultima – che si occupa di rizzaggio e derizzaggio, carico e scarico dei container, movimentazione di merci, servizi di approvvigionamento della nave, etc. – deve avere determinati requisiti professionali e organizzativi ed in particolare:
– Presentare all’atto della domanda un programma di attività assistito da idonee garanzie;
– Possedere adeguate attrezzature tecniche ed organizzative;
– Prevedere un organico di lavoratori rapportati al programma di attività.
Da quanto scritto, si evince che il porto rappresenta una realtà il cui utilizzo si presta ad una vasta gamma di operazioni che non possono prescindere dalla natura e dalle caratteristiche del porto stesso, dovendosi prendere atto del fatto che un porto con alti fondali, ampio retroporto e poderose infrastrutture consentirà la programmazione dello sviluppo del traffico di contenitori, mentre un porto sito in una città o in una zona particolarmente attraente sul piano turistico – e magari collegato ad un aeroporto avente un network di destinazioni cospicue – potrà puntare maggiormente al settore crocieristico. In tal modo, ciascun territorio avrà il porto che più si presta a migliorarne le potenzialità.