L’occasione me la fornisce mia figlia. Quindici anni. Nel pieno dell’adolescenza e di quei picchi dell’umore che rendono impegnative le relazioni. Anche e soprattutto quelle con i genitori. Siamo presi quotidianamente da attività di studio e di lavoro che ci allontanano dagli altri e ci sigillano dentro il “nostro” mondo. Nell’epoca della pandemia globale il “nostro” mondo si è ristretto ancora di più … fino a ridursi a pochi centimetri attorno al nostro “Io”. Ma siamo una Famiglia. Quel “nostro” mondo – che pure è importante perché rappresenta la confort zone nella quale possiamo sempre rifugiarci – non può e non deve essere d’intralcio allo scambio emotivo, sentimentale ed umano che intercorre tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra amici e conviventi. Quando si condividono gli spazi – e gli spazi si condividono sempre … a meno che non si viva da eremiti – ci sono necessariamente dei limiti da rispettare. Limiti fisici ma non soltanto. Si collabora. Ci si dà una mano. Ci si sostituisce l’uno all’altro. Si cedono centimetri ed anche metri, talvolta, per far spazio a chi ne ha bisogno o semplicemente in quel momento ne reclama di più. Oggi a te, domani a me. E’ la legge che vige in tutte le comunità solidali.
La Famiglia a me ha insegnato essenzialmente questo: che non c’è posto per il “tutto a me”; se c’è una sola fetta di torta e siamo in cinque, quella fetta di torta va divisa in cinque parti (poi magari, come sempre accade, i genitori rinunciano … ed a noi figli ne tocca un terzo per uno!!). Chi è cresciuto da solo difficilmente ha il senso di solidarietà e di condivisione che appartiene a chi proviene da nuclei familiari numerosi. Ha difficoltà ad abituarsi agli spazi esigui, a viaggiare portandosi in spalla bagagli che non gli appartengono, quelli di un fratello o di una sorella che hanno inciampato per strada ed hanno avuto bisogno di essere soccorsi. Ecco, ho spiegato questo oggi a mia figlia, riottosa a chiedere scusa per essersi preoccupata ieri solo del suo pasto e in un momento in cui il resto dei componenti della famiglia era impegnato in altro. Ho spiegato come la “cura” rappresenti fondamentalmente l’amore verso gli altri. Il preoccuparsi di chi ci sta accanto è una dimostrazione dell’affetto che si prova per essi. Che aridità in quell’uomo o quella donna che pur vivendo insieme ad altri si preoccupa solo ed esclusivamente per sè stesso …