La Storia mi ha sempre affascinato. E certi periodi storici in particolare hanno stimolato la mia curiosità ed il mio interesse soprattutto in merito a quelle che erano state le cause del verificarsi di alcuni drammatici eventi. L’epoca dei totalitarismi, per esempio, è ancora oggi per me fonte di domande alle quali cerco, con lo studio delle fonti integrato con le mie personali convinzioni morali, etiche, culturali e religiose, di fornire delle risposte quanto meno approssimative. Tra i vari testi letti in merito, mi ha molto colpito “L’obbedienza all’autorità” di Stanley Milgram, il celebre psicologo statunitense che tra 1961 e il 1962 condusse un esperimento sociale il cui obiettivo era lo studio del comportamento di soggetti ai quali un’autorità, nel caso specifico uno scienziato, ordinava di eseguire delle azioni in conflitto con i propri valori etici e morali. Il testo è illuminante. Viene relazionato dettagliatamente l’intero iter di condotta dell’esperimento (metodo di ingaggio dei partecipanti, locale in cui si è svolto, strumenti adoperati, la risposta dei vari soggetti, le interviste successive) e, naturalmente ne vengono analizzati i risultati.
L’obbedienza è uno degli elementi fondamentali della struttura della vita sociale. Ogni forma di vita collettiva si basa, infatti, su un sistema di autorità e soltanto chi vive completamente isolato non è costretto a sottomettersi o a ribellarsi a ordini estremi. Fra il 1933 e il 1945 milioni di innocenti vennero uccisi da persone che eseguivano degli ordini. Ma lo sterminio degli Ebrei da parte dei Tedeschi è soltanto il più clamoroso e abominevole tra gli atti immorali compiuti da migliaia di individui in nome dell’obbedienza. A me ha sempre affascinato la figura di Antigone che, in nome di una legge naturale o divina che dir si voglia, superiore a quella positiva degli uomini, osò sfidare quest’ultima pagando con la vita il prezzo della propria disobbedienza. Ma la storia è piena di figure altrettanto autorevoli che hanno asserito, di contro, la necessità dell’obbedienza al fine di preservare l’ordine sociale. Hobbes giunge ad affermare che la responsabilità di un’azione compiuta in tali circostanze non ricade sulla persona che la compie ma sull’autorità che la prescrive. Che è un po’ quanto affermato da Adolf Eichmann, regista amministrativo del trasporto degli Ebrei nei campi di sterminio, durante il processo svoltosi ad Israele. Eichmann venne processato e condannato a morte ma resta l’icona della deresponsabilizzazione burocratica dell’azione.
Nell’epilogo del libro, Milgram evidenzia come ciò che avvenne nella Germania nazista, che era uno stato totalitario in cui la struttura verticistica risultava certamente molto delineata, potrebbe verificarsi anche in uno stato democratico poichè il problema in sè non è “l’autoritarismo” in quanto organizzazione politica o sistema di atteggiamenti psicologici ma l’autorità stessa, e quest’ultima non può essere eliminata finchè la società esisterà nelle forme in cui la conosciamo. La verità è che nessuno di noi, ancora oggi, può dire che non si comporterebbe in un certo modo ove ricevesse determinati ordini. Perché la storia ha dimostrato che tutti indistintamente, anche coloro che si professano persone “per bene”, potremmo essere trasformati in strumenti attivi di un processo di distruzione.
Certo, la disobbedienza civile esiste – ed Antigone ne è l’icona indiscussa – ma gli studi di Milgram mettono in luce come sia raro che si verifichi in quanto l’atto in sé richiede la mobilitazione di risorse interne non indifferenti. Un percorso impegnativo che soltanto una minoranza di soggetti è in grado di compiere in quanto il costo, in termini di energia psichica, è assolutamente notevole.
E’ più probabile, invece, che gli individui obbediscano agli ordini imposti dall’alto. Anche qualora siano parte di una comunità democratica. Tanto ciò vero che la tratta dei neri e la schiavitù di milioni di persone, la distruzione degli Indiani d’America, l’internamento dei giapponesi americani nei campi di concentramento, l’impiego del neplam contro la popolazione civile in Vietnam, sono misure ripugnanti ordinate dall’autorità di un paese democratico (non uno stato totalitario!!!) e sono state eseguite con disciplina e spirito di corpo da milioni di individui. Il testo di Milgram, a proposito della guerra in Vietnam, riporta lo stralcio dell’intervista a un soldato che prese parte al famoso massacro di My Lai ai danni di donne e bambini gooks (gialli). E ciò che emerge è disarmante. L’uomo non sembra vergognarsi più di tanto per le azioni disumane commesse ai danni di altri esseri umani e ciò dimostra la capacità degli individui di rinunciare alla loro umanità al momento in cui la loro personalità individuale viene incorporata in più vaste strutture istituzionali. “Ogni individuo, infatti, è dotato di un livello di coscienza più o meno alto che serve ad arginare l’irrompente flusso degli istinti nocivi ai suoi simili, ma quando l’individuo si trova inserito in una struttura organizzata, una nuova creatura emerge sostituendo l’uomo autonomo, non più ostacolata dalle barriere della moralità individuale, libera da inibizioni umane, preoccupata solamente delle sanzioni dell’autorità”.
Io, come del resto Milgram, sono rimasta turbata dai risultati emersi dall’esperimento effettuato perché essi mostrano come un numero impressionante di persone esegua i comandi senza porsi problemi morali purchè essi provengano da un’autorità legittima.
Riporto all’uopo – ed a conclusione di queste mie brevi considerazioni – lo stralcio di un articolo intitolato “The Dangerous of Obedience” in cui l’autore (Harold J. Laski) afferma una condivisibile verità e cioè che “civiltà significa innanzitutto volontà di non procurare sofferenze inutili. Nell’ambito di tale definizione, quanti fra di noi accettano con leggerezza gli ordini dell’autorità non possono essere ancora considerati uomini civili … Se desideriamo vivere un’esistenza non completamente priva di valori e di senso, il nostro compito è quello di non accettare ciò che contraddice la nostra esperienza profonda per il solo fatto che la tradizione, la convenienza e l’autorità vorrebbero imporcelo. Potremmo anche essere nell’errore, ma la capacità di esprimere noi stessi viene soffocata sul nascere se le idee che il sistema ci propone non corrispondono alle idee che provengono dalla nostra esperienza individuale. In ogni stato, uno scetticismo diffuso e coerente sulle norme imposte dal potere è la condizione della libertà