Guardando a “spizzichi e bocconi” il Festival di Sanremo mi è capitato ieri di assistere a due interventi, diversissimi tra loro, che hanno scatenato l’opinione pubblica al punto che ogni fazione sostenitrice del suo personale punto di vista si è sentita in diritto di criticare quello dell’altra. Gli interventi a cui faccio riferimento sono quelli di Checco Zalone in veste di Cenerentola 4.0 versione trans, e quello di Lorena Cesarini sul razzismo. Entrambi hanno scatenato un putiferio in rete. Di Zalone è stato detto che la sua comicità è impregnata di volgarità nazional-popolare e che ha trattato il tema dell’orientamento sessuale LGBTQ con cinismo ed insensibilità. Io personalmente non condivido. Zalone, nel corso degli anni della sua carriera di attore comico (ricordo che l’aggettivo comico deriva da deriva dal greco komos che in epoca classica indicava un genere di festino chiassoso e sregolato con il quale si festeggiava il dio del vino e, dunque, dalle origini, il comico è stato identificato con un elemento di trasgressività!) ha mostrato, a mio modestissimo parere, una grande sensibilità nei confronti di temi scottanti e delicati, affrontandoli nei suoi film con armi potenti quali l’ironia intelligente, il paradosso della satira, la comicità che arriva a tutti. Lo ha fatto anche ieri sera. Nel combattere l’omofobia di un ipotetico re calabro (cliente affezionato di Cenerentola, la fanciulla di cui si innamora suo figlio Oreste). Ha sottolineato l’incoerenza del “perbenismo borghese” che come un manto riveste chi assume in privato comportamenti che ripudia in pubblico. Sfodera un finale irriverente ma potente, rivisitando il testo della canzone di Mia Martini, a cominciare dal titolo: “Che ipocrisia nell’universo”. E conclude con l’ennesimo ironico doppio senso: “se ci sono denunce, querele, interrogazioni parlamentari, il foro di competenza non è mio ma di Amadeus”. Si può eccepire la volgarità nella forma ma io trovo Zalone un genio della satira e della comicità a tutto tondo. Nella sostanza fa ridere. Lui, la sua gestualità, le espressioni facciali, il modo in cui si rivolge ai suoi interlocutori, ciò che dice e come lo dice. È il bambino che urla “il re è nudo!” con quella spontaneità che destabilizza, me ne rendo conto, eppure tra le righe della sua satira ci sono tante Verità, e sono quelle che fanno la differenza rispetto a un banale comico che, perdonatemi il linguaggio, “spara solo cazzate”. Veniamo a Lorena Cesarini, giovane attrice della serie “Suburra”. Non la conoscevo, ammetto. Non guardo serie TV. Mi è apparsa piuttosto spaurita, fragile, delicata. Come un passerotto. Il contrario di chi per mestiere dovrebbe avere una certa padronanza di sé dinanzi a una telecamera. Ma magari è soltanto una impressione, e la ragazza è in realtà forte e coriacea. Gli autori le affidano un ruolo impegnativo, quasi a voler ribadire il concetto che le donne, al Festival di Sanremo, ci vanno non soltanto per svolgere la funzione di valletta (che poi è quello che puntualmente fanno!). Ed allora si racconta. E racconta dell’odio in rete che ha scatenato la sua partecipazione al festival. Legge estratti dal libro di Tahar Ben Jelloun “Il razzismo spiegato a mia figlia”. È un monologo lungo, forse anche troppo. Sentito, certamente, come dimostra la sua voce rotta dalla commozione, ma poco efficace a mio parere perché è come se gli autori avessero voluto imporle la sensibilizzazione su un tema importante come il razzismo soltanto per dare costrutto ad un ruolo ed ad una partecipazione che altrimenti non si spiegherebbe. Della serie, facciamo fare le “veline” a quelle intelligenti ma incaselliamo i loro interventi in modo che non possano uscire fuori dal calpestato. Sinceramente non mi convince. Ma si sa, è una opinione personale e come tale va rispettata. Come rispetto chi la pensa diversamente e magari ha trovato splendida la Cesarini ed efficace il suo intervento sul razzismo e, di contro, banale, volgare e scadente quello di Zalone.