“Coltivo Speranze. Prima o poi fioriranno”. Leggo queste righe passivamente mentre giocherello con il cellulare e la mia mente frena. “Coltivo Speranze”. La prima parte mi si addice. È da quando sono ragazzina che spero.

Spero di essere all’altezza dei sogni dei miei Genitori.

Spero di avere una vita migliore della loro.

Spero di riuscire a dare ai miei figli una vita migliore della mia.

Spero di godere sempre di buona salute. Di avere il controllo del fisico e della mente quanto più a lungo è possibile.

Spero che gli altri siano sempre leali, fedeli, onesti, rigorosi e corretti come hanno insegnato ad essere a me.

È chiaro che chi coltiva Speranze di questo genere è destinato a debacle brucianti che lasciano ustioni non di poco conto. Eppure, nei meandri di un vita che è tutt’altro che un giardino fiorito, la Speranza non mi ha mai abbandonato. Ancora oggi, è come se mi tenesse per mano e, con fare spavaldo, si facesse strada tra i rovi intricati del mio percorso, agevolandomi il cammino. La seguo a tratti ad occhi chiusi. Temendo di precipitare nel vuoto proprio per essermi “fidata e affidata”. Poi li apro. E la luce è accecante. Il tempo di abituarmici e scorgo paradisi costituiti dall’amore e dall’affetto degli amici, dai pensieri generosi di mamma e papà, dai sorrisi e le carezze dei miei genitori, dalle risate e dagli scherzi dei miei figli. Sono soffici nuvole di zucchero filato in un cielo azzurro Persia, profumato di vaniglia e agrumi di Sorrento. Sono gozzi che ondeggiano delicatamente sul mare al suono di antiche musiche partenopee. Sono mani che delicatamente sfiorano i miei capelli con carezze che mi infondono serenità ed amore. Coltivo Speranze, è vero. “Prima o poi fioriranno!”