Questa sera sono tornata al cinema dopo molti mesi. È settembre, la temperatura all’esterno è ancora gradevole, le serate piene di eventi conclusivi delle programmazioni che le varie amministrazioni propongono durante la stagione estiva. Eppure, il film in proiezione in questi giorni nell’unico cinema attualmente operativo in Penisola Sorrentina non potevo proprio perderlo. Si tratta del nuovo film di Gianni Amelio, “Il signore delle formiche”, presentato di recente alla Mostra del Cinema di Venezia, che racconta la vera storia di Aldo Braibanti, scrittore, filosofo, artista e mirmecologo (studioso delle formiche), omosessuale che negli anni Sessanta finì sotto processo, accusato di aver plagiato un suo studente maggiorenne che per questo venne dalla famiglia ricoverato in un ospedale psichiatrico e sottoposto ad elettroshock.

La sensazione che ho provato è stata di orrore.

Orrore per quanto accaduto in un passato tutto sommato recente, nel quale l’omosessualità veniva ritenuta una malattia dalla quale occorreva guarire, anche facendo ricorso a metodi ortodossi e che altro non producevano se non danni irreparabili al fisico ed alla psiche. Il fascismo, che in passato aveva stigmatizzato quel tipo di sessualità, all’epoca dei fatti rappresentati nel film, sembrava ormai lontano, ma evidentemente non abbastanza. Così, si colpivano le persone omosessuali attraverso il ricorso ad altre fattispecie di reato. L’omosessualità, infatti, non era considerata reato. Il codice penale fascista (il c.d. Codice Rocco dal nome del Ministro di Grazia e Giustizia del governo Mussolini, Alfredo Rocco) non lo prevedeva. Come viene fatto presente da uno dei personaggi del film, Mussolini non avrebbe potuto prevedere quel tipo di reato perché questo avrebbe significato ammettere l’esistenza stessa degli omosessuali, cosa che lui negava nel momento stesso in cui credeva che tutti gli Italiani fossero uomini assolutamente maschi e virili. Ecco, allora, che per punire l’omosessualità e gli omosessuali si ricorre al reato di plagio. Nel diritto romano, questo termine veniva riferito alla condotta di chi riduceva un uomo libero in schiavitù. Il codice penale italiano del 1930 prevedeva la reclusione da cinque a quindici anni per chi sottoponeva una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione. Poi nel 1981, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo il reato di plagio in quanto i suoi contorni non erano definibili in maniera netta perché anche da un rapporto amoroso sarebbe potuto derivare uno stato di soggezione, così come dall’adesione cieca e incondizionata ad una religione o ad un’ideologia. L’orrore ed il disgusto mi hanno accompagnato durante tutta la durata del film, toccando picchi considerevoli nella fase di svolgimento del processo penale ai danni del Braibanti, lì dove la morale ipocrita e perbenista dell’epoca è risultata più copiosa ed evidente. Giudici, avvocati, familiari, testimoni … tutti protagonisti di una società becera, insensibile, gretta, meschina e maldicente che non ha mai esitato a sacrificare i più elementari diritti umani in nome di quella ottusa ed oggi inverosimile credenza per cui “un omosessuale o si cura o si ammazza”