Assistiamo impotenti ad un altro conflitto che da qualche giorno riempie gli spazi riservati alle notizie sui quotidiani ed in TV. Russi ed Ucraini hanno ceduto la scena a Ebrei e Palestinesi. Ed il loro profondo ed atavico odio è palpabile attraverso la crudeltà delle immagini che i telegiornali ci riservano ormai a qualsiasi ora del giorno e della notte. Uomini, donne e bambini israeliani dilaniati dalla furia selvaggia dei seguaci di Hamas e dalla pioggia di missili che è letteralmente piovuta sui territori al confine della Striscia di Gaza.

Ferma restando la condanna nei confronti di chi ha posto in essere una simile barbarie – che trova il suo lugubre apice nella decapitazione di bambini e neonati avvenuta nel kibbutz di Kfar Aza – è però necessario ripercorrere le tappe fondamentali di una vicenda che ha origini molto lontane nel tempo e la cui conoscenza è necessaria per comprendere cosa possa mai esserci alla base di un sentimento di odio così’ profondo e radicato da consentire gesti di tale crudeltà e nefandezza come quelli appena menzionati.

Il Medio Oriente è tutta quella zona dell’Asia che va dal Mar Mediterraneo all’Oceano Indiano ed è una zona abitata principalmente da arabi di religione musulmana.

Fino alla fine della prima guerra mondiale questi territori appartenevano all’Impero Ottomano. Nel 1920, con il Trattato di Sevres, essi furono assegnati alle grandi potenze europee, principalmente Francia (Siria e Libano) e Gran Bretagna (dalla Palestina al Golfo Persico). A quest’ultima, in particolare, venne affidato dalla Società delle Nazioni un Mandato che gli consentì di governare la Palestina dal 1920 al 1948 ed in forza del quale venne confermato l’impegno già assunto nel 1917 da Lord Arthur J. Balfour di destinare parte di quel territorio al popolo ebraico.

“Il governo di Sua Maestà vede con benevolenza l’istituzione in Palestina di una National Home per il popolo ebraico e farà del suo meglio perché tale fine possa essere raggiunto, rimanendo chiaro che niente deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina”. Lord Arthur J. Balfour

E’ opportuno, a questo punto, fare una digressione.

Tra la fine del IXX e l’inizio del XX secolo si diffuse tra gli Ebrei il Sionismo (da Sion, una collina di Gerusalemme che risulta citata numerose volte nella Bibbia e che ricopre, pertanto, un’importanza estrema nell’immaginario collettivo ebraico), una ideologia e movimento politico volto alla realizzazione di uno Stato ebraico in Palestina; volto, cioè, a dare un territorio agli Ebrei, i quali da tempo erano dispersi per il mondo (c.d. diaspora) e non avevano una loro patria.

Gli Ebrei consideravano, quindi, la Palestina come la loro antica “Terra Promessa” e, spinti dalle idee sioniste, ma anche dalle persecuzioni nei loro confronti, che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, raggiunsero il loro apice, emigrarono in massa verso quel territorio, provocando la reazione degli arabi musulmani che quella terra la abitavano da millenni e che non erano, quindi, disposti a dividere la loro patria con i nuovi arrivati, estranei anche dal punto di vista religioso.

Nel 1945 nasce la Lega Araba con lo scopo di allestire relazioni più strette fra i paesi aderenti (Arabia Saudita, Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano e Siria a cui se ne sono aggiunti altri nel corso degli anni) coordinando le loro attività politiche secondo principi di collaborazione; di salvaguardare le rispettive sovranità e indipendenza e di considerare in un’ottica generale i loro affari ed interessi economici e politici.

L’ONU, costituitasi dopo la Seconda Guerra mondiale, con la risoluzione 181/1947 decise di dividere la Palestina in due territori, uno ebraico ed uno arabo. In merito alla città di Gerusalemme, cara ad entrambe le popolazioni, si decise che essa fosse sottoposta direttamente al controllo internazionale.
I problemi sorsero, però, nel 1948, quando Israele proclamò tutti i territori che gli erano stati assegnati dall’ONU come unico ed autonomo “Stato d’Israele” e la Lega Araba considerò questo gesto come una vera e propria provocazione nei propri confronti, decidendo così di invadere quei territori con le proprie truppe.
Questo primo conflitto durò circa un anno e terminò con la vittoria di Israele. Tuttavia, solo una minoranza di Palestinesi decise di rimanere nel nuovo Stato, prendendo la cittadinanza israeliana. Al contrario, circa un milione di profughi palestinesi decise di emigrare verso i paesi arabi confinanti.

Peraltro, Israele aveva sottratto ulteriori territori agli arabi e questo aveva provocato ulteriori tensioni con i paesi musulmani. Ci furono, pertanto, altri accesi conflitti tra cui quello del 1956 (Crisi di Suez), quello del 1967 (Guerra dei Sei Giorni) e quello del 1973 (Guerra di Kippur).
Tutti questi conflitti sono stati vinti da Israele, anche per una superiorità economica e militare che gli derivava dall’appoggio da parte delle principali potenze mondiali e, in particolare, degli Stati Uniti d’America.

C’è da dire, inoltre, che a partire dagli anni Settanta del secolo scorso sono nate una serie di associazioni che avevano come scopo la liberazione della Palestina dagli Ebrei. La principale e più importante è stata l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) il cui leader principale fu Yasser Arafat che svolse un’importante attività a sostegno della causa palestinese e del suo riconoscimento internazionale, impegnandosi, a partire dal 1974, per una soluzione diplomatica del conflitto mediorientale (per tali motivi nel 1994 gli venne assegnato il Premio Nobel per la Pace).

I conflitti arabo palestinesi vanno, in ogni caso, interpretati anche alla luce della Guerra Fredda che ha visto contrapposte, a partire dal secondo dopoguerra e per circa quarant’anni, due grandi potenze come USA e URSS. Le comunità ebraiche erano, infatti, negli Stati Uniti molto potenti, influenti e disposte ad appoggiare Israele nel conflitto contro gli arabi. Nel corso degli anni, quindi, anche grazie all’aiuto economico e militare degli Americani, Israele si è arricchito, la sua popolazione è cresciuta a dismisura ed è diventato un paese florido economicamente e democratico politicamente. Di contro, i Palestinesi, spesso raccolti in grandi campi profughi allestiti dall’ONU, vivono da anni in condizioni di povertà assoluta, di stremi e di precarietà che li spinge, molto spesso, ad imboccare la strada del terrorismo.
Attacchi terroristici da ambedue le parti se ne contano tanti, ma anche i tentativi di pace sono stati diversi. Nel 1974, ad esempio, con gli Accordi di Camp David, l’Egitto ha riconosciuto politicamente lo Stato d’Israele e quest’ultimo ha riconsegnato allo stesso territori che aveva illegittimamente occupato anni prima come, ad esempio, la penisola del Sinai.

Ad ogni modo negli anni Ottanta del secolo scorso, sono nate diverse organizzazioni di stampo prevalentemente terroristico che hanno rivendicato numerosi attentati ed offensive militari a cui Israele ha risposto con altrettanta violenza e prevaricazione.
Tra queste, la più importante è Hamas, una organizzazione paramilitare islamista e fondamentalista di estrema destra, nata nel 1987 ad opera di Ahamad Yasin, rimasto alla guida del movimento fino al 2004, quando un raid missilistico israeliano lo ha ucciso mentre usciva da una moschea di Gaza.
A proposito di Gaza, come non menzionare la sua condizione particolare.

Si tratta di una striscia di terra (di circa 40 km di lunghezza e 10 di larghezza) affacciata sul Mar Mediterraneo che faceva parte del Mandato britannico della Palestina e che è passata, successivamente, sotto il controllo politico, prima dell’Egitto (dal 1948 al 1967), e poi di Israele, fino al 2005, quando è tornata a far parte del territorio palestinese.

La Striscia, peraltro, è un’exclave, in quanto fa parte della Palestina ma è geograficamente separata dal resto del territorio; tuttavia, essa non fa parte dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), cioè il sistema di autogoverno che esercita la propria sovranità anche su Gerusalemme Est e la Cisgiordania, ma è sotto il controllo di Hamas, benchè Israele controlli militarmente lo spazio aereo e quello marittimo, rendendola di fatto isolata.

Abitata da circa due milioni di persone (è una delle zone più densamente popolate al mondo), la maggior parte di esse sono rifugiati, cioè palestinesi dislocati dalle loro terre d’origine che, stante la loro condizione di estrema povertà, vivono soprattutto grazie agli aiuti umanitari che ogni anno ricevono per di più’ dalla Unione Europea.

Quando Hamas nel 2006 vinse le elezioni, imponendosi su un partito più moderato, rese di fatto indipendente la Striscia dal resto del territorio nazionale palestinese ed è per questo che Israele decise di intraprendere un embargo economico che l’ha di fatto resa una vera e propria “prigione a cielo aperto” in cui uomini donne e bambini convivono in pessime condizioni sociali, economiche ed igienico-sanitarie nonché sotto l’egida di bombe e missili israeliani che sono diventati parte integrante della loro quotidianità.

Inoltre, nel 2002 Israele ha costruito un muro – lungo circa settecento chilometri ed alto otto metri – inteso a separare i propri territori da quelli palestinesi, rendendo di fatto sempre più un miraggio il raggiungimento della pace tra il popolo ebraico e quello arabo.

Pace che appare, ovviamente, ancor più un miraggio oggi, alla luce dei recenti episodi di violenza, posti in essere a partire dal 7 ottobre scorso quando, con l’operazione “Alluvione al-Aqsa”, sono stati lanciati un gran numero di razzi verso il territorio occupato da Tel Aviv e avviato una rappresaglia nei confronti della popolazione che vive attorno alla Striscia di Gaza.

Dinanzi a crudeltà efferate la comunità internazionale non può restare indifferente. E certamente verranno presi provvedimenti tesi quantomeno a stemperare le tensioni di questi giorni. Ma trovare soluzioni non è facile. La Storia insegna che ciascun popolo è portatore di interessi a cui difficilmente rinuncia se non obbligato dalla mole sconsiderata di morti e macerie. E, talvolta, purtroppo, neanche vi rinuncia!