Mi è capitato innumerevoli volte nel corso degli ultimi dieci anni di sentirmi dire di essere complicata, difficile, esigente; di scappare dinanzi ad eventuali “buone opportunità”, di non essere furba, scaltra, calcolatrice, di scalare vette impossibili, di essere masochista, di non riuscire ad instaurare relazioni più o meno durature con un uomo, di fare sempre questioni di “lana caprina”. Addirittura una volta in auto, di rientro da una breve vacanza con i miei cugini, si paventò l’ipotesi che io avessi dei problemi con l’altro sesso per il mio “brutto carattere”: troppo autonoma, indipendente, schietta, aperta. “Indomita”, come una volta mi definì mia madre. Per non parlare poi di quanti abbiano dubitato della mia eterosessualità.
Per carità, nulla contro gli omosessuali. L’omosessualità non è un male ma una naturalissima propensione non solo sessuale ma anche dello spirito. Tuttavia mi domando perché chi non si “accompagna” debba essere automaticamente reputato gay o lesbica in un’epoca in cui, per l’evoluzione dei costumi, non dovrebbe insinuarsi il dubbio nelle menti di coloro che si ritrovano dinanzi a un single la quale non è brutta, non è sciocca, presenta discrete qualità, eppure preferisce la solitudine affettiva.
La “mia” verità l’ho trovata meravigliosamente espressa in un libro che ho letto di recente e che porta come titolo “Un cuore, una capanna” (vorrà pur dire qualcosa!)
Chi crede fermamente nell’amore e non è disposto ad accontentarsi di sentimenti surrogati, tiepidi o finti, di frequente resta solo. E’ il “triste” destino delle persone, maschi o femmine che siano, le quali sono incapaci di adeguarsi a situazioni di comodo, persone essenzialmente libere e coraggiose in ogni ambito della vita e ancora più in quello affettivo, che conoscono la fatica dello stare da sole ma che pure prediligono questa rispetto alla insostenibile fatica di stare con qualcuno la cui anima non combacia in qualche maniera con la loro”.
L’autrice, Azzurra Noemi Barbuto, continua: “ In questi anni ho conosciuto tanti single che credono nell’amore e tante coppie che non credono più in niente, che stanno insieme per inerzia, per pigrizia, per opportunismo, per paura, per incapacità di cambiare, persone che seguitano a stare insieme pur avendo smesso di amarsi o che addirittura non si sono amate mai. Si tratta di individui singoli non in grado di stare al mondo senza un supporto, una spalla, un tutore, e questa loro debolezza è la loro pena: non conosceranno mai la grandiosità dell’amore, che è riservato a pochi, perché hanno prediletto all’amore l’illusorio conforto che a intermittenza deriva dall’avere alla propria destra o alla propria sinistra un estraneo chiamato “moglie” o “marito” o “compagna” o “compagno” … il single compie una scelta coerente: non ama nessuno, allora non sta con nessuno. Dovrebbe essere logico e naturale. Non si pone accanto quell’estraneo qualsiasi al fine di ottenere sicurezza e un po’ di compagnia. Non si sposa perché ormai è ora. Non si fidanza perché è meglio passare l’inverno in coppia. Non riempie la solitudine con una presenza qualsiasi””.
Il libro è ricco di spunti. Ed è anche un inno alla emancipazione di donne e ragazze ancora collegate, soprattutto nel Meridione d’Italia, all’idea di “sistemarsi” facendo un “buon matrimonio”. Retaggio di secoli di false credenze che favorivano esclusivamente l’uomo e la società maschilista di un tempo.
Un invito alle nuove generazioni a studiare e a conseguire un titolo di studio o una qualsiasi competenza che renda possibile il loro affrancamento dalla famiglia d’origine prima, e da una qualsiasi altra persona dopo, “perché ognuno dovrebbe essere in grado di andare avanti da solo senza restare ancorato a un portafoglio quando non si è più ancorati a un cuore”