Oggi Giulia … ma e’ solo l’ultima. L’ultima di un elenco triste di donne uccise per mano di un uomo che un tempo deve averle amate. Di un amore malato, certo. Di un amore che non avrebbe titolo per essere annoverato tra i sentimenti puri, sani e disinteressati che dovrebbero legare due persone. Di femminicidi se ne parla. Soprattutto negli ultimi anni. Se ne parla a scuola, in famiglia, in TV, sui social, nei libri. E nonostante se ne parli, sembra che non se ne prenda coscienza, soprattutto da parte degli uomini, che continuano a ritenere le proprie compagne, mogli o fidanzate, ex compagne, ex moglie o ex fidanzate, oggetti di loro proprietà, di cui disporre a piacimento, anche, e forse soprattutto, nel momento in cui le stesse prendono decisioni autonome ed indipendenti. Non se ne prende coscienza perché la marcia delle donne verso l’emancipazione, anche economica, oltre che sociale e culturale, è una marcia continua e senza sosta, laddove gli uomini arrancano nello star loro dietro. Ed ecco la gelosia, la possessivita’, la competizione, la frustrazione per non riuscire a stare al passo … nello studio, nel lavoro, nella vita.

Oggi è il 18 novembre.

Ed il corpo di Giulia è stato rinvenuto in un canalone nei pressi del lago di Barcis, dopo sei giorni di incessanti ricerche che hanno riguardato una vasta zona del nord est italiano; sei giorni durante i quali noi tutti, sebbene lo scacciassimo dalla mente, avevamo nella testa un unico pensiero, quello del triste epilogo che questa vicenda avrebbe avuto. La morte di Giulia per mano dell’ex fidanzato. Ovvero: “cronaca di una morte annunciata”. L’indignazione esplode quando la notizia del rinvenimento del cadavere rimbalza dalla TV ai social. E’ un continuo prendere posizione – da parte di chiunque: dalla star televisiva, il cantante famoso e il giornalista, al vicino di casa, le amiche e la sorella della vittima – su quello che e’ un fenomeno sociale in continua crescita: la violenza nei confronti delle donne ed il suo sfociare in gesti estremi come la loro uccisione. Il femminicidio, appunto. Giulia era una ragazza di ventidue anni. Anche l’ex fidanzato e’ molto giovane. Questo ci induce a riflettere sulla trasversalità del fenomeno. Non ha una collocazione geografica o generazionale. Coinvolge tutti: giovani, anziani, ricchi, poveri, operai, laureati, meridionali, settentrionali. Ed e’ propriamente un fenomeno. Non una semplice emergenza, cioè una circostanza imprevista, accidente, una particolare condizione di cose, un momento critico, che richiede un intervento immediato. E’ un fenomeno, cioè un fatto, una manifestazione della realtà che, per il suo svolgimento temporale, si propone come oggetto di particolare considerazione, anche sociale e culturale. Ed e’ proprio questo il punto. C’è da’ domandarsi perché, se il numero di omicidi decresce, quello dei femminicidi aumenta. C’è da domandarsi, altresì, perché, dopo quarantadue anni dall’abolizione del delitto d’onore, per un semplice rifiuto, gli uomini si sentono legittimati a cancellare il proprio dolore eliminando il problema, cioè uccidendo la donna che li ha rifiutati. C’e’ da domandarsi, infine, perché, nonostante le normative che negli ultimi anni sono state emanate per contrastare questa mattanza (ultime le leggi 69/2019 e 122/2023), non se ne viene a capo.

E Giulia e’ soltanto l’ultima,

L’ultima di 105 donne ammazzate da gennaio ad oggi.

Il che ha portato qualcuno a trarre una serie di considerazioni che, pur analizzando perfettamente il fenomeno, hanno il sapore amaro di una terribile sconfitta sociale, umana e culturale.

Le trovo assolutamente condivisibili.

Il problema è che come fai sbagli.

Se non sei interessata e usi perifrasi, dovresti parlargli con chiarezza.

Se non sei interessata e lo dici chiaramente, che stronza, gli spezzi il cuore.

Se continui a vederlo, lo illudi che ci sia ancora speranza.

Se tagli i ponti, lo fai soffrire per il distacco.

Se ignori battute sessiste, su, un po’ di orgoglio, legittimi la mancanza di rispetto.

Se reagisci alle battute sessiste, ma come sei pesante, fattela una risata.

Se conservi le relazioni che avevi prima di lui, lo fai ingelosire.

Se lui diventa la tua unica relazione, non puoi farti terra bruciata intorno.

Se hai meno successo di lui, vuoi fare la mantenuta, sei una zavorra.

Se hai più successo di lui, lo fai sentire inadeguato, vuoi umiliarlo.

Se il violento sembra violento, te lo sei proprio cercato.

Se il violento sembra un bravo ragazzo, devi averlo fatto esasperare.

Se riconosci i segnali di violenza, ma dai, su, non esagerare.

Se non riconosci i segnali di violenza, come hai fatto a non accorgertene?!

Se lo denunci, gli rovini la vita.

Se non lo denunci, avresti dovuto cercare aiuto.

Se scappi, ti comporti da preda.

Se resti, ti comporti da preda.

Il problema è che come fai sbagli, in una società sbagliata.

In una società giusta, ogni persona dovrebbe sapere che la relazione si basa sul consenso.

E che ogni mancato consenso, ogni rifiuto, è un’eventualità accettabile e da accettare.

In una società giusta, il possesso riguarda al più gli oggetti, certo non le persone.

In una società sbagliata, invece, a sentirsi sbagliata è la vittima, anche se a sbagliare è il carnefice”