Sono sprofondata in un abisso di banalità. Il percorso e’ durato qualche minuto. Immersa nel buio più accecante in cui mi sia mai trovata e stordita dal suono metallico ed assordante di una musica onomatopeica. Poi, di colpo, la banalità del male di cui parlava Hannah Arendt. Una casetta perfetta, con un giardino perfetto, abitata da una famiglia perfetta. Il tutto a pochi metri da Auschwitz che si percepisce – ma non si vede – dietro un alto muro grigio sul quale si stanno inerpicando le viti piantate amorevolmente dalla moglie del comandante del campo Rudolf Hoss.

Nel film “La zona d’interesse” – recentemente premiato agli Oscar come miglior film straniero – lascia senza fiato l’indifferenza e lo stato di quiete in cui e’ immersa la vita di una classica famiglia tedesca (due genitori e tre figli rigorosamente chiari e biondissimi, l’incarnazione perfetta della purissima “razza ariana”), nonostante il latrare dei cani, lo sparo dei fucili, le urla di dolore dei prigionieri, lo sferragliare delle ruote dei treni sulle rotaie, il fumo delle fornaci e le ceneri che impregnano il fiume dove i bambini allegramente fanno il bagno.

Il regista e sceneggiatore inglese Jonathan Glazer mette in scena la più grottesca immagine della Germania nazista e di un popolo cieco dinanzi all’orrore che si consuma semplicemente al di la’ di un muro. Molti pensieri sparsi, in genere parecchio elaborati, puntano a sottolineare come, in questo film, la memoria del genocidio degli ebrei non venga cristallizzata in immagini devastanti, ma sia semplicemente un aspetto che interroga le nostre coscienze in un momento storico in cui le guerre, i conflitti tra popoli, sono molto vicini a noi e ci ricordano che il male, come ben descrive Hannah Arendt, “non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso “sfida”, come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”. Solo il bene è profondo e può essere radicale