La struttura e il funzionamento di uno Stato dipendono essenzialmente dalla distribuzione dei poteri tra i diversi soggetti politici che lo compongono (cittadini, organi, istituzioni pubbliche). La differenza tra “forme di Stato” e “forme di Governo” sta essenzialmente in ciò: che le prime attengono al rapporto verticale che lega Stato e cittadini mentre le seconde ad un rapporto orizzontale che si instaura tra i diversi organi dello Stato (Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica).
Più specificamente, nell’ambito delle forme di Stato, si suole distinguere:
– STATO UNITARIO: la sovranità (cioè il potere di emanare norme giuridiche e di sanzionare le eventuali violazioni) è attribuita ad organi che fanno capo direttamente allo Stato centrale (la maggior parte dei paesi del mondo ha questa forma di Stato).
– STATO FEDERALE: caratterizzato dal fatto che la pluralità di Stati che lo compongono ha una propria autonomia ed una sovranità limitata ad alcune funzioni mentre altre (solitamente la politica estera, la difesa del territorio e la politica economica) sono avocate a sè e gestite dallo Stato centrale (pensiamo agli USA).
– STATO REGIONALE: in cui lo Stato, pur mantenendo la propria unità e sovranità, attribuisce competenze e funzioni ad enti locali i quali non sono sovrani ma soltanto autonomi, perchè il loro potere deriva direttamente da quello statale.
L’art. 5 della Costituzione italiana recita espressamente “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Dalla sua lettura si deduce:
1) Il carattere unitario dello Stato italiano;
2) Il riconoscimento di enti locali già presenti sul territorio prima della nascita del Regno d’Italia (1861) e cioè i Comuni.
3) La promozione di ulteriori enti locali, cioè le Regioni (che troveranno concreta attuazione soltanto nel 1970);
4) Il concetto di “autonomia” inteso quale potere normativo, amministrativo, finanziario che va esercitato nel rispetto della Costituzione.
5) Il concetto di “decentramento” inteso quale forma di amministrazione diretta statale che affida ad uffici decentrati dello Stato (ad esempio Prefetture, Questure, etc.) le funzioni proprie degli organi centrali. Concetto che, rispetto a quello di autonomia, assolve una funzione più limitata ma non certo meno rilevante.
In base all’art. 114 della Costituzione sono enti autonomi territoriali, con propri statuti, poteri e funzioni, le Regioni, le Province, i Comuni e le Città Metropolitane (L. 56/2014).
Quanto alle Regioni, va specificato che la nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, prevedeva che le prime elezioni dei Consigli regionali avvenissero entro un anno dalla predetta data, mentre in realtà si sono poi svolte soltanto nel 1970. Ciò perché l’orientamento delle forze di governo e della Corte Costituzionale, fino alla fine degli anni Sessanta, si mantenne fortemente anti-autonomistico per il timore che in alcuni territori (come, ad esempio, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna) potessero nascere governi regionali di impronta politica comunista. Dagli anni Settanta in poi, di contro, si attuarono via via numerosi passaggi di competenze e di risorse alle costituite Regioni, fino agli inizi del XXI secolo quando, con la riforma del Titolo V della Costituzione (L. n. 3/2001), proprio i governi di Sinistra diedero impulso alla trasformazione in senso federale dello Stato italiano, con la previsione della c.d. “autonomia differenziata”.
Oggi le Regioni italiane sono venti. Quindici a statuto ordinario e cinque a statuto speciale. Queste ultime (Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia), godono di una maggiore autonomia che ha costituito in passato la contropartita al loro assoggettamento allo Stato italiano, vista l’influenza che gli Stati confinanti esercitavano sulle stesse e le loro spiccate richieste autonomistiche.
Quanto alla potestà legislativa delle Regioni, l’art. 117 della Costituzione, ne individua tre tipologie:
1) potestà legislativa esclusiva dello Stato (difesa, politica estera, banche e monete, leggi elettorali, referendum, giustizia, cittadinanza, immigrazione etc.).
2) potestà legislativa concorrente Stato/Regioni (sanità, istruzione, ricerca scientifica, reti stradali, porti, protezione civile etc.). Lo Stato emana le c.d. “leggi quadro” o “leggi cornici”, contenenti i principi fondamentali ai quali le Regioni dovranno attenersi nella adozione della legislazione di settore.
3) potestà legislativa residuale delle Regioni.
Quando si parla di “autonomia differenziata”, però, si intende far riferimento al fatto che, in virtù della riforma costituzionale del 2001, le Regioni a statuto ordinario potranno richiedere, con una procedura normata dalla stessa Costituzione, maggiore autonomia rispetto a quella di cui godono oggi, ampliando il loro raggio d’azione normativo su una o più materie tra quelle previste dal punto 2) di cui sopra.
L’art. 116 della Costituzione, infatti, oltre a menzionare le cinque regioni a statuto speciale, prevede che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l)*, limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n)** e s)***, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”
(*giurisdizione e norme processuali, **norme generali sull’istruzione, ***tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali).
Sulla base del dettato costituzionale, nell’ottobre 2017, le Regioni Veneto e Lombardia hanno tenuto referendum consultivi per chiedere ai cittadini se condividevano il progetto di ottenere l’autonomia su tutte le ventitrè materie indicate dal terzo comma dell’art. 117 della Costituzione. In Veneto i “sì” sono stati superiori al 98%, mentre in Lombardia i consensi sono stati leggermente inferiori (95,7%). In ogni caso, risultati plebiscitari.
La richiesta di autonomia (su soltanto quindici materie rispetto alle predette ventitrè) è stata fatta, pur senza tenere il referendum, anche dalla Regione Emilia Romagna.
Dopo il responso popolare, Luca Zaia (Presidente della Regione Veneto), Roberto Maroni (Presidente della Regione Lombardia) e Stefano Bonaccini (Presidente della Regione Emilia Romagna) hanno firmato delle pre-intese con il governo Gentiloni. La riforma è rimasta sospesa durante i governi Conte I e Conte II ed anche con l’esecutivo di Mario Draghi. Ha ripreso slancio, poi, con la nascita del governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni, che ha affidato la delega specifica al Ministro per gli Affari regionali e per le autonomie, Roberto Calderoli. Nel 2023 il DDL sull’autonomia differenziata viene approvato dal Consiglio dei Ministri. Nel gennaio 2024 è approvato dal Senato e a giugno 2024 dalla Camera in via definitiva. La nuova legge verrà promulgata entro 30 giorni dal Presidente della Repubblica, poi pubblicata in Gazzetta Ufficiale. A quel punto le Regioni che lo chiederanno apriranno la trattativa con il Governo fermo restando che prima dovranno essere definiti i LEP (Livelli Essenziali di Prestazione): lo Stato ha 24 mesi di tempo. Per ciascuna materia lo Stato dovrà definire livelli minimi dei servizi erogati in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. E dovrà, naturalmente, stabilire le risorse necessarie a garantirli. Gli accordi Stato-singola Regione dovranno poi tornare in Parlamento per la ratifica definitiva. Non è previsto referendum costituzionale perchè non viene modificata la Carta, ma i partiti di centro sinistra (PD, Alleanza Verdi-Sinistra Italiana e Italia Viva) hanno annunciato la raccolta firme necessaria a indire una consultazione popolare per l’abrogazione della legge. Sta di fatto che, da questo momento in poi, ciascuna Regione potrà richiedere l’autonomia su una o più delle ventitrè materie di “legislazione concorrente”. Di queste, nove (Organizzazione della giustizia di pace; Commercio con l’estero; Professioni; Protezione civile; Previdenza complementare e integrativa; Coordinamento della finanza pubblica e de sistema tributario; Casse di risparmio e aziende di credito a carattere regionale; Enti di credito fondiario; Rapporti internazionali e con l’Unione Europea) possono essere trasferite più rapidamente perché non prevedono i LEP. E si stanno muovendo in tal senso
Al momento, risulta pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 26 giugno 2024, n. 86 recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Il Presidente della Regione Veneto ha già chiesto al Governo autonomia sulle nove materie non subordinate ai LEP. Si attendono ulteriori sviluppi.