Nel mese di Novembre 2023 il governo italiano ha sottoscritto con l’Albania un protocollo d’intesa in materia migratoria (protocollo ratificato con legge n. 14 del 21 febbraio 2024 pubblicata in G.U. n. 44 del 22 febbraio 2024) che prevede la costruzione in terra albanese di strutture deputate all’accoglienza di migranti in attesa di essere identificati ed eventualmente rimpatriati.
Il costo del progetto – che avrà una durata di cinque anni prorogabili per altri cinque – ammonta a circa 650 milioni di euro, tra spese di costruzione e costi di gestione (tutti a carico del governo italiano).
Le strutture di cui innanzi sono state completate appena qualche mese fa in due diverse località dell’Albania: Shengjin, una città sul mare a circa un’ora da Tirana e Gjader, vicino a un ex aeroporto militare nell’entroterra albanese. Il numero di migranti trasportati dall’Italia e presenti contemporaneamente nelle anzidette strutture non potrà essere superiore a 3mila unità. L’allestimento è stato particolarmente complesso per il sito di Gjader che consta di tre diverse strutture. La prima, con una capienza massima di 880 migranti provenienti da cosiddetti “Paesi sicuri”, ai quali verranno applicate le procedure accelerate di frontiera (durata massima 28 giorni) per determinare se dovranno avere diritto alla protezione oppure dovranno essere rimpatriati. La seconda, definita CPR ovvero Centro di Permanenza per il Rimpatrio, con capienza fino a un massimo di 144 migranti (nel quale saranno trattenuti i non aventi diritto alla protezione, fino al momento del loro rimpatrio). E, infine, la terza che sarà un mini-penitenziario da 20 posti, in cui verrà detenuto chi – all’interno del centro – sarà sorpreso a compiere reati.
Ieri la nave della Marina Militare italiana “Libra” è salpata da Lampedusa con a bordo sedici migranti tra bengalesi ed egiziani. All’arrivo al porto di Shengjin si completerà l’identificazione e lo screening sanitario. Poi, chi avrà i requisiti farà domanda di asilo e all’esito dell’istruttoria verrà condotto in Italia. Tutti gli altri attenderanno di essere rimpatriati nel centro di accoglienza allestito a Gjader.
I tempi per l’esame delle domande di asilo sono stati compressi: la procedura dovrà essere completata entro quattro settimane ed è stato anche dimezzato l’attuale termine di sette giorni per i ricorsi.
Con questo primo gruppo di migranti che sbarcherà tra poche ore a Shengjin diventano, dunque, operativi i due centri per il rimpatrio dei migranti che, sebbene allocati in Albania (paese al di fuori della Unione Europe) sono a tutti gli effetti territorio italiano.
Colpisce il numero esiguo di migranti che in queste ore sono diretti a Shengjin. Va precisato che essi facevano parte di un gruppo più numeroso che si trovava su due imbarcazioni partite dalla Libia e tratte in salvo qualche giorno fa in acque internazionali, ma in zona SAR italiana, da due motovedette della Guardia costiera.
In quella occasione, donne, minori e persone vulnerabili sono stati portati a Lampedusa mentre i restanti sedici (definiti “uomini non vulnerabili”) sono stati trasferiti a bordo della “ Libra” che era in attesa al largo di Lampedusa.
Non tutti i migranti soccorsi dalle navi italiane potranno, in ogni caso, essere trasferiti in Albania. Si prevede il trasferimento per i soli maschi adulti provenienti da Paesi considerati “sicuri” ossia quegli Stati dove, secondo l’Italia, vige un ordinamento democratico e dove sono rispettati i diritti umani. Le richieste di protezione internazionale provenienti da cittadini di questi Paesi saranno esaminati più velocemente e più difficilmente saranno accettate dal momento che l’Italia li ritiene, appunto, “sicuri”.
Alcune associazioni umanitarie hanno, però, contestato questa lista – allargata dal governo italiano pochi mesi fa fino a comprendere 21 Paesi (Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia, Tunisia, Bangladesh, Sri Lanka, Camerun, Egitto, Colombia e Perù) – poichè non in tutti sarebbe garantito l’esercizio dei diritti umani. La contestazione risulta essere stata accolta dalla Corte di Giustizia Europea che, lo scorso 4 ottobre, ha stabilito con sentenza che la valutazione di “Paese sicuro” deve estendersi a tutte le sue parti, tenendosi conto del fatto che esistono Paesi che l’Italia ha definito “sicuri” in cui, specificamente in determinate zone o territori, le persone vengono discriminate sulla base del loro orientamento sessuale e/o religioso. Per l’Italia, che applica il concetto di “sicurezza parziale”, sono sicuri anche Paesi come Tunisia, Egitto e Bangladesh in cui lo stesso governo italiano riconosce che condizioni di sicurezza non ci sono per omosessuali e transessuali o per gli oppositori politici. Per la Corte europea, invece, la nozione di Paese sicuro deve estendersi alla totalità della popolazione. E non solo a una parte di essa. A rigore, dunque, il solo Paese sicuro, tra quelli riconosciuti dall’Italia, sarebbe Capo Verde. Non sono sicuri, invece, tutti gli stati africani da cui partono i migranti diretti verso l’Italia.