E’ noto come il diritto marittimo abbia origini consuetudinarie. Ebbene, in virtu’ di una antica norma consuetudinaria codificata dalla Convenzione UNCLOS (United Nation Convention Law of the Sea), in presenza di una insenatura che penetri profondamente nella costa, lo Stato costiero può tracciare una “linea di base dritta” congiungente i punti di entrata naturali, a condizione che siano osservati due requisiti geometrici (questa è nota come “regola del semicerchio”)
1. la superficie dell’insenatura deve essere “uguale o superiore” a quella di un semicerchio avente per diametro la linea tracciata attraverso la sua entrata;
2. la linea di chiusura dell’insenatura non può superare le 24 miglia.
Rispettando questi criteri geometrici, si è in presenza di una c.d. “baia giuridica” caratterizzata dal fatto che le acque che si trovano all’interno di essa sono considerate a tutti gli effetti acque interne e come tali soggette alla totale sovranità dello Stato costiero.
Ma cosa accade se la baia ha una ampiezza tale che il segmento immaginario che unisce le estremità della costa è maggiore di 24 miglia?
La Convenzione UNCLOS autorizza gli Stati costieri a tracciare un segmento all’interno della baia, in modo da racchiudere la massima superficie possibile di acque, che non superi le 24 miglia.

La medesima Convenzione stabilisce, tuttavia, che quanto anzidetto non si applica alle c.d. “baie storiche”.
La nozione di baia storica non è, in realtà, codificata in nessuna legge di nessun ordinamento giuridico nazionale, nè tanto meno dal Diritto internazionale.
Pertanto, in assenza di una specifica norma positiva, per delineare il concetto di baia storica è necessario rifarsi alla teoria ed alla prassi del Diritto internazionale marittimo che annovera svariati esempi di baie considerate storiche, quali la Baia canadese di Hudson (50 miglia di apertura), la Baia sovietica di Pietro il Grande (103 miglia di apertura), il Golfo di Taranto (60 miglia di apertura).
Sull’origine del termine “baia storica”, va detto che esso fu adoperato per la prima volta nel corso della riunione dell’ “Istitut de Droit International”, nel marzo del 1894 a Parigi, in cui fu riconosciuta come legittima la pretesa di sovranità su una baia purché fondata su un uso continuo e secolare della zona interessata.
Per quel che concerne la dottrina più recente, essa ravvisa il vero fondamento di questo eccezionale istituto, non soltanto in un generico riferimento a “titoli storici”, ma anche nella sussistenza di particolari caratteristiche geografiche alle quali si accompagni l’elemento dell’effettivo esercizio nel tempo di una esclusiva sovranità da parte di un solo Stato “così da lasciar constatare la sussistenza di stabili e continui vincoli di intimità tra le acque della baia e il territorio dello Stato costiero affinché su tali acque si irradi la sovranità che il medesimo esercita sul proprio territorio”.
Si è, pertanto, concluso che, affinché possa affermarsi la storicità di una baia, occorre dimostrare la presenza di tali elementi:
1. aperto, notorio ed effettivo esercizio di sovranità su quella zona di mare da parte dello Stato che proclama il diritto;
2. esercizio continuo di questa sovranità;
3. acquiescenza (intesa come riconoscimento esplicito) da parte degli Stati terzi nei confronti dell’esercizio della anzidetta sovranità.
La prassi internazionale è nel senso di un eccessivo ricorso alla chiusura delle insenature da parte degli Stati costieri, per l’evidente vantaggio strategico, politico ed economico che deriva dall’estensione tanto considerevole delle proprie acque interne, dove la sovranità dello Stato costiero è totale ed esclusiva.
Tuttavia, non sempre la comunità internazionale ha mostrato tolleranza (se non una vera e propria acquiescenza) dinanzi alla pretesa degli Stati di considerare le acque delimitate dal segmento di chiusura della baia come proprie acque interne.
Casi a tal proposito contrapposti, benché siti nel medesimo Mar Mediterraneo, risultano essere quelli relativi al Golfo di Taranto e al Golfo della Sirte.
Analizziamoli specificatamente.
1. Golfo di Taranto
Il D.P.R. n. 816 del 26 Aprile 1977 sulle linee di base del mare territoriale italiano (con cui l’Italia ha optato per il sistema delle linee di base dritte ai sensi dell’art. 7 della Convenzione UNCLOS, tracciando 38 segmenti complessivi al fine di unire i punti estremi dei circa 8000 km di costa italiana) ha qualificato “baia storica” il golfo di Taranto, e ne ha previsto la chiusura con una linea tracciata da Santa Maria di Leuca a Punta Alice. Il golfo di Taranto rientra pienamente in tutti i criteri previsti per la qualificazione di una insenatura come baia giuridica, esclusa ovviamente l’esorbitante lunghezza della linea di chiusura (60 miglia invece delle 24 previste dalla regola del semicerchio delle baie giuridiche).
L’Italia vantava, infatti, titoli storici (risalenti al Regno delle due Sicilie e ad epoche ben più remote) che dimostrano l’esclusività del potere statale nell’ambito del “Golfo di Taranto“ a vari fini (militari, doganali, di pesca, ecc.).
Il decreto presidenziale anzidetto ha, in ogni caso, il merito di aver cristallizzato l’esistenza dell’esercizio della sovranità dell’Italia sulle acque del Golfo di Taranto che, seppure hanno scarsa importanza come via di comunicazione internazionale, rappresentano un punto strategico per la difesa marittima dello Stato.
Per questi motivi è, ormai, pacifica l’acquiescenza degli Stati, rafforzata dall’accordo italo-greco del 24 agosto 1977 con cui i due Paesi rivieraschi hanno provveduto alla delimitazione delle proprie piattaforme continentali utilizzando il criterio della linea equidistante dalle rispettive linee di base, tenendo appunto conto del segmento di chiusura del Golfo di Taranto.


2. Golfo della Sirte
La Libia ha chiuso il Golfo della Sirte il 10 ottobre 1973, tracciando una linea di base tra Bengasi e Misurata di ben 307 miglia, inglobando così circa 22.000 miglia quadrate di acque interne, per giunta senza nessuno dei criteri di una baia giuridica.
L’abnorme provvedimento legislativo dello Stato nordafricano, in cui si invocarono non meglio precisati diritti di sovranità esercitati senza alcun contrasto durante lunghi periodi della storia, oltre ad esigenze di sicurezza della Nazione, colse di sorpresa le potenze occidentali e specificamente gli Stati Uniti che ritennero l’iniziativa della Libia un tentativo di appropriarsi illegittimamente di una vasta zona di mare internazionale (non riscontrandosi nel golfo della Sirte i requisiti già ampiamente descritti in precedenza).
La mancata revoca delle pretese storiche sulla Sirte provocò una tensione internazionale culminata anche in scontri aeronavali tra USA e Libia. Successivamente gli Stati Uniti hanno, a più riprese, esercitato i loro diritti di navigazione, transitando nel golfo libico con una squadra navale o, persino, svolgendovi esercitazioni militari.


Dall’analisi dei due casi anzidetti risulta, dunque, chiaro come il riconoscimento della sovranità dello Stato costiero sulle acque all’interno della linea di base che superi le 24 miglia da parte della comunità internazionale costituisca pilastro portante della struttura consuetudinaria su cui poggia l’istituto delle “baie storiche”, certamente di nicchia nella normativa marittima internazionale eppure così macroscopicamente rilevante per gli abnormi interessi strategici, politici ed economici che esso coinvolge.