Era il tardo pomeriggio di una classica domenica invernale, che come tante altre avevamo trascorso a casa dei miei zii paterni. Io e mia madre, rientrate a casa da poco più di dieci minuti, ci eravamo recate nell’appartamento della nostra anziana vicina di casa, al piano di sopra, per sapere se lei e il marito, invalido e convalescente, avessero bisogno di qualcosa prima di andare a letto. Mia madre era solita avere per loro queste attenzioni. Ricordo solo il buio improvviso – andò’ via la corrente elettrica – e dopo una manciata di secondi la terra tremò per un tempo incalcolabile. Abbracciavo mia madre senza rendermi conto di ciò che stava accadendo. Pensai ad una eruzione del Vesuvio, il “nostro” vulcano. Poi, dopo un lasso di tempo che mi apparve infinito (novanta secondi possono sembrare una eternità!), il sussulto si fermò ed io e mia madre scendemmo le scale di corsa verso il nostro appartamento. C’erano mio padre e mio fratello sulla soglia che urlavano a squarciagola il mio nome. Non si erano accorti che avevo raggiunto mia madre dai vicini solo in un secondo momento e, naturalmente, senza avvertire nessuno (come ero solita fare) e credevano, dunque, che fossi rimasta intrappolata per qualche motivo all’interno dell’appartamento. Tutti i nostri vicini correvano verso l’ampio giardino che si trova dinanzi all’edificio, increduli e spaventati per ciò che stava accadendo. Portavano con loro coperte e generi alimentari, cuscini e bottiglie d’acqua. Molti tornarono a casa poco dopo, ma solo per prendere qualche altro genere di prima necessità. Noi trascorremmo diverse ore nell’abitacolo dell’auto che era parcheggiata lungo il viale. Non c’erano i telefonini e ci auguravamo che i nonni, gli zii, gli amici e i parenti, anche quelli che abitavano nei Comuni limitrofi, si fossero messi in salvo come noi. Oggi, nell’epoca dei collegamenti telematici e degli smartphone, non so dire come sia stato possibile, ma le informazioni arrivavano. Il mio era un quartiere residenziale di nuova edificazione ma attraverso il “passa parola” venivamo a conoscenza di informazioni sconfortanti riguardo il centro del paese; voci di crolli, di feriti, di morti, anche. Era tutto molto preoccupante ma, devo ammetterlo, ai miei occhi di bambina anche molto eccitante. Trascorremmo tutta la serata in auto; poi mio padre decise che era più opportuno rientrare in casa. Io mi addormentai nel mio lettino ma seppi, l’indomani mattina, che i miei genitori erano rimasti svegli tutta la notte, spaventati dalle numerose scosse di assestamento che si erano susseguite nel corso della nottata. Scosse che continuarono nei giorni seguenti, durante i quali io, bambina di nove anni, trovavo meraviglioso il fatto di non andare a scuola; di condividere il nostro appartamento con tutta la famiglia degli zii, compresi i miei adorati cugini “grandi”; di chiacchierare con le tante amiche che, avendo abitazioni dichiarate inagibili, vivevano temporaneamente in strutture alberghiere requisite ed appositamente destinate ai “senzatetto”. Le invidiavo … soprattutto quando mi raccontavano dei giochi meravigliosi che riuscivano a realizzare in quelle strutture e che consistevano nel rincorrersi spensierate nelle hall e nelle sale ristorante e nello scivolare impavide – oggi direi incoscienti – sui corrimano delle ringhiere delle scale che collegavano i vari piani di quelle inusuali residenze. Non conoscevo nulla dei tanti interessi in gioco. Del finanziamenti “post terremoto”. Non mi interessavano gli aspetti economici e sociali che erano scaturiti dalla tragedia che avevo vissuto in prima persona. Non comprendevo neanche il dramma, la sua enorme portata. Guardavo le immagini scioccanti dei TG nazionali, che descrivevano morti, feriti, abitazioni divelte o crollate. Ascoltavo le urla di disperazione dei “senzatetto”, di coloro che avevano perso tutto: parenti, amici, case, effetti personali. Si parlava di sciacallaggio. Cos’era? Di enormi cifre stanziate dallo Stato per la “ricostruzione”. Numeri. Soltanto numeri.
Per me era semplicemente uno stato di fatto nuovo: particolare, eccitante, fuori dall’ordinario ma rassicurante e, se vogliamo, tutto sommato ovattato: avevo tutto ciò che avevo prima, non avevo perso nulla.
Si, posso dirlo … io c’ero. E’ stato, senza ombra di dubbio, l’evento più “forte”, traumatico e sconvolgente vissuto durante la mia infanzia spensierata!