Non mi sono mai soffermata a chiedermi il perché. Perché fosse successo a me, intendo. Non ho mai cercato di attribuire ad altri o ad altre le colpe di quello che mi accadeva e/o di quello che mi è accaduto. Ho sofferto. Dio solo sa quanto. A chi mi chiedeva all’epoca cosa si provasse, rispondevo che il dolore era paragonabile a dieci, venti, cento coltellate al Cuore. In effetti era un paragone che non avrei potuto sostenere. Non conosco il dolore da ferita inflitta con un coltello o con altro oggetto contundente. È l’immagine stessa di quella modalità di infliggere un colpo a provocarmi dolore. E quel dolore, quella sofferenza, la sentivo addosso come se realmente qualcuno si stesse accanendo contro di Me, su di Me, sul mio Corpo. E dunque sul mio Cuore. Ricordo notti insonni. Telefonate “fiume” con chi allora mi confortava. Lacrime. Lacrime. Lacrime. Non so perché, ma da un certo punto in poi, dai miei occhi non ne uscirono più. Come un lago prosciugato per la costante siccità … il letto di un fiume inaridito e reso sterile dalla mancanza di piogge durante la stagione estiva. Era arrivata l’estate, infatti. La più gelida della mia vita, nonostante il caldo torrido che aveva desertificato la mia anima. Erano trascorsi mesi da quando ero rimasta completamente sola e soltanto la benefica compagnia telefonica di un amico lontano e sfortunato era riuscita ad infondermi un po’ di coraggio e di calore umano. Balsamo riparatore. Ricordo la scena di un film di qualche anno fa. “Revenant”. Faceva ribrezzo per quanto era profonda e incancrenita la ferita su cui era stato applicato l’unguento miracoloso che la rimarginò. Allo stesso modo, se penso a come ero ridotta; a quel cumulo di macerie che era il mio Cuore; a come facevo fatica in quel momento anche soltanto a respirare ed a cercare di condurre una vita normale; a come le notti insonni che si susseguirono per mesi, consumavano tutta la forza e l’energia necessaria per portare avanti la casa, il lavoro, i figli. Ecco, se penso alla sferzata profonda che era stata inflitta al mio orgoglio, alla mia vanità, alla mia tracotanza intellettuale, alla mia autostima ed alla mia atavica capacità di credere in me stessa nonostante i fallimenti, gli errori, le delusioni in cui ero incorsa molteplici volte … non posso non concludere che qualcosa di “esterno” a me abbia agito da unguento profumato, lenitivo, antidolorifico, perfino sedativo. E al tempo stesso energizzante, tonico, ricostituente. Un farmaco somministrato lentamente, giorno dopo giorno, che mi ha consentito di “rialzarmi” da quello stato comatoso in cui mi trovavo, di recuperare la forza e la forma fisica e psicologica, entrambe necessarie a procedere ben salda e solida sulle mie gambe, in un crescendo di passi avanti …. prima cauta, a tentoni, fragile e poi, acquistata fiducia, sempre più velocemente … con una intensa voglia di vivere anzi, di ri-vivere. Proprio come chi torna nuovamente a vivere dopo aver attraversato gli inferi, la buia terra dei morti, gli abissi di un oceano, così tornai in superficie io … prima ansimando, tossendo, ingurgitando aria in maniera violenta e scomposta e poi, man mano, più lentamente, respirando moderatamente, ma a pieni polmoni … ubriacandomi con l’aria fresca, tersa e ristoratrice del pianeta più bello di tutta la galassia.