I film di Almodovar non piacciono a tutti. Bisogna saperne cogliere il Senso, sfrangiandolo da orpelli, spesso voluminosi ed esuberanti, che tendono a ridurne il forte impatto emotivo.

Ieri mi sono recata al cinema con una determinazione senza precedenti. Spinta dal forte desiderio che mi ha trasmesso il titolo del film, “Madres Paralelas”, che mi ha fatto pensare al tema del “doppio”, tanto presente nella poetica pirandelliana che io amo tanto.

È la storia della ricerca di una Verità. Anzi … di due Verità.

Una individuale ed una collettiva, storica, che si dipanano lungo tutta la durata del film, come due fili di lana originati da una unica matassa.

Si parla di Maternità, e quindi di Vita; e si parla di Morte.

Si parla di Amore. Ma che si presta ad una serie infinita di interpretazioni.

Amore verso Sé Stessi.

Amore verso i Figli.

Amore verso i Genitori e le Radici in genere.

Amore verso la Verità.

Amore verso l’Altro. Così … genericamente inteso.

Ogni situazione analizzata dal regista spagnolo appare estremamente complessa. Ma non perché l’ostentazione della complessità potrebbe rendere più intrigante il film.

Semplicemente perché ad essere complessa è la Vita stessa, con tutte le sue sfaccettature e con tutte le anse di un percorso impegnativo condiviso con tutti coloro che incrociamo e con cui ci relazioniamo. Padri, Madri, Amici, Amanti, Figli.

Indubbiamente, se c’è un merito da riconoscere ai Nostri Tempi è quello di aver sdoganato l’ipocrisia dei rapporti c.d. “convenzionali” – svelandone la estrema pochezza – in favore di una maggiore attenzione e/o sensibilità nei confronti dell’essenziale e del reale, ancorché complicato, ingombrante, “diverso”.

Due madri diverse, appunto. Per età, estrazione sociale, formazione, educazione, gusti.

Due Figlie. Due Destini.

La Vita e la Morte si fondono in una osmosi che tratteggia l’intera pellicola, sullo sfondo della quale aleggiano i fantasmi della Guerra Civile spagnola e delle sue drammatiche conseguenze.

Fino alle ultime scene del film, in cui ancora una volta si evidenziano, con grazia e maestria, i temi del “nascere” e del “morire” …. attribuendo un ruolo da protagonista al “rinascere”, che l’epigrafe conclusiva del film, dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, affida alla Storia.

E’ talmente significativa, da mandarla a memoria.

Non c’è una storia muta. Per quanto la violentino e la imbavaglino, la storia umana si rifiuta di stare zitta