È già da un poco che ho smesso di cercare le Persone. Mi sono resa conto che erano anni che le relazioni di cui tanto andavo fiera erano alimentate dal mio affetto, dal mio amore, dalla mia cura. Ma erano, appunto, il mio affetto, il mio amore, la mia cura. Ho provato a staccare la spina. A interrompere quel flusso costante di attenzioni verso l’Altro che mi ha caratterizzato da sempre. E molte relazioni sono terminate. Già, terminate. È stato agghiacciante in un primo momento prendere atto del fatto che laddove non ero io a stimolare il vedersi, il sentirsi, il condividere non ci si vedeva, non ci si sentiva, non si condivideva. Mi e’ apparso un fallimento. Il mio. Sono stata divorata dai sensi di colpa. Cosa ho fatto per non essere cercata, voluta, desiderata? Sono manchevole di qualcosa? O, al contrario, ho tenuto un comportamento che ha urtato la sensibilità o la suscettibilità altrui? Non sono stati momenti semplici. Lo dico svelando fragilità che faccio sempre fatica a mostrare. Mi sono sentita smarrita, rifiutata, amareggiata, affranta. Poi ho compreso. Le relazioni sane sono quelle in cui il flusso di emozioni e sentimenti è biunivoco. Non necessariamente contemporaneo. Perché lo scambio può avvenire ed avviene normalmente in tempi diversi. Ma biunivoco, cioè al dare di uno/a deve corrispondere, prima o poi, il dare dell’altro/a e viceversa. Dare e ricevere costituiscono in effetti un gioco a somma zero; un gioco, cioè, in cui il guadagno o la perdita di un giocatore è perfettamente bilanciato da una perdita o un guadagno di un altro giocatore in una somma uguale e opposta. Può sembrare arido e inopportuno ridurre la relazione tra esseri umani ad una tipologia di gioco ma è soltanto un modo per far comprendere – a chi, come me, investe tanto nell’aspetto relazionale della vita – che non ci si può accanire nel cercare oro in una miniera di manganese. Sarebbe ludopatia. E rischieremmo di perdere tutto. Soprattutto noi stessi.