L’uomo naviga da tempi molto antichi.

A partire almeno dal 3000 a.C. (civiltà Fenicia, Cicladica e Minoica) il mare ha rappresentato la via per commerciare, per scambiarsi informazioni, tecnologie e conoscenze. I Fenici nel XII secolo a.C. erano già in grado di avventurarsi dalle coste del Mediterraneo orientale, l’attuale Libano, sino alle coste delle odierne Tunisia, Marocco e Spagna e da Omero sappiamo che l’attività marinara nell’Egeo ai tempi della guerra di Troia (quindi presumibilmente intorno al 1250 a.C.) era così sviluppata che la potenza dei re Achei veniva misurata dal numero di navi che riuscivano ad armare.
E’ inoltre dato per certo dagli storici che sebbene la guerra di Troia – secondo la leggenda – ebbe come pretesto il rapimento di Elena, la moglie del re di Sparta, da parte del principe troiano Paride, il vero obiettivo dei Greci fosse quello di liberare lo stretto dei Dardanelli dal controllo troiano ed avere, così, libero accesso al Mar Nero.
Il che dà l’idea dell’importanza dei traffici marittimi nel Mar Mediterraneo.
E’ noto, inoltre, che la potenza di Roma crebbe prima sul mare e poi sulla terra. I Romani, infatti, dopo aver conquistato l’Italia peninsulare, sviluppato un’importante flotta ed affinato le tecniche nautiche e militari (si pensi al “corvo”, il congegno di abbordaggio utilizzato durante le guerre Puniche), per sconfiggere l’egemonia cartaginese nel Tirreno, si dedicarono per quasi due secoli a conquistare via mare tutte le popolazioni dei territori che affacciavano sul Mediterraneo. Questo prima di intraprendere la campagna terrestre per la conquista della Gallia ed espandersi verso l’Europa continentale.
Da circa tremila anni, dunque, la navigazione commerciale e militare ha costituito una importante via di sviluppo per i popoli che l’hanno percorsa. Del resto, la stessa definizione di pontos, uno dei termini utilizzati da Omero e da altri autori greci per definire il mare, ha come radice il concetto di cammino, sentiero, passaggio, e per questo motivo tale termine è usato proprio in quei contesti narrativi dove si vuole sottolineare la funzione di “collegamento” dell’elemento mare. Come mare che unisce e non divide.

In una realtà marinara così sviluppata, è naturale pensare che già dall’antichità (fin dall’epoca del Codice di Hammurabi) si siano dovuti codificare usi e consuetudini in qualche corpus normativo più o meno organico. Nello specifico, il rischio connesso alla navigazione è sempre stato, ad esempio, al centro di ogni riflessione giuridica del diritto del mare. Ed era al centro di una delle più antiche norme sul traffico marittimo a noi pervenuta, la Lex Rodhia (de iactu, cioè sul “gettito”), che fu recepita successivamente anche dal diritto romano e che prevedeva che, qualora in caso di necessità (tempeste, incidenti, danni allo scafo etc.) si fosse ritenuto opportuno alleggerire la nave gettando in mare parte del carico per salvare la spedizione, il danno che ne fosse conseguito andava ripartito tra tutti i proprietari delle merci imbarcate. La finalità della salvezza della spedizione è una finalità comune ed è, pertanto, da sempre ritenuto ragionevole che il danno patito anche da uno soltanto dei partecipanti sia condiviso da tutti
Risulta esemplare, in proposito, il famoso episodio dell’Odissea nel quale, di fronte all’alternativa tra il sacrificare la vita di alcuni compagni nelle fauci del mostro a sei teste di Scilla o perdere la nave nelle acque agitate di Cariddi, Ulisse scelse la prima opzione accettando di perdere i propri compagni pur di salvare la nave e la vita di tutti gli altri.
I Romani fecero proprio il principio di solidarietà contenuto nella Lex Rodhia definendo in modo esplicito ruoli e responsabilità dell’attività marinara. Distinsero, pertanto, l’exercitor navis, cioè l’armatore/imprenditore, dal magister navis, cioè il responsabile dell’attività economica annessa alla navigazione e dal gubernator, cioè il comandante della nave. Il primo sollevava il secondo da eventuali responsabilità civili, caricando oltremodo sè stesso con l’assunzione del rischio che le merci affidate “venivano ricevute con garanzia di salvezza”. Questa garanzia così ampia e onerosa per l’armatore fu poi alla base dell’istituto della “limitazione del debito” dell’armatore tuttora presente nel Codice della Navigazione.

Nell’ambito del diritto marittimo, assume un rilievo particolare il principio della “libertà del mare” che si è andato affermando, a partire dalla seconda metà del Seicento, su impulso degli Olandesi. Detto principio – secondo cui uno Stato non può precludere l’uso pacifico degli spazi marini alle imbarcazioni degli altri Stati – si contrappone a quello della “sovranità territoriale” sostenuto dagli Stati costieri.
In realtà, il principio della territorialità perse di significato nel periodo in cui il Mediterraneo, per circa 400 anni dall’inizio del primo millennio d.C., fu interamente inglobato nell’Impero tanto da essere chiamato Mare Nostrum. Successivamente, si ritornò a recriminare spazi e prerogative ad essi collegate da parte degli Stati costieri che si affacciavano sul Mediterraneo.

Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.), in quel periodo che si è soliti chiamare Alto Medioevo, alcune comunità rivierasche mediterranee si impossessarono dello spazio di mare antistante il loro territorio e vi svilupparono una intensa attività marinara. Erano le c.d. “Repubbliche Marinare” che è limitativo ridurre alle quattro più importanti Amalfi, Pisa, Genova e Venezia, le cui caratteristiche possono essere così sintetizzate:
– Indipendenza
– Possesso di una flotta
– Economia, politica e cultura basate essenzialmente sulla navigazione
– Forma di città-stato
– Presenza negli altri porti del Mediterraneo di propri consoli
– Presenza nel proprio porto di consoli di altri paesi
– Uso di moneta propria accettata in tutto il Mediterraneo
– Partecipazione alle Crociate e/o alla repressione della pirateria
Una delle principali caratteristiche delle Repubbliche Marinare era poi quella di godere di un proprio corpus di norme marittime.
Ed ecco, quindi, l’Ordinamenta maris (Trani, 1063), le Tavole Amalfitane (Amalfi, XI secolo), il Constitutum usus (Pisa, 1297), il Capitulare nauticum (Venezia, 1225), gli Statuti di Gaeta (Gaeta, 1356), gli Statuti del mare (Ancona, 1387), e le Regulae et ordinamenta gazariae (Genova, 1441).

A partire dalla metà del XIII secolo cominciarono ad operare i Consolati del Mare, istituti di origine bizantina che amministravano la giustizia marittima e che giudicavano le controversie emettendo sentenze sulla base degli usi, delle consuetudini e delle leggi previgenti. Lungo le coste del Regno di Aragona ne vennero istituiti diversi ma fu quello di Barcellona in particolare a divenire il principale strumento di sviluppo e divulgazione della normativa marittima, con la raccolta di diritto consuetudinario nota come “Libro del Consolato del Mare”.

Un’altra importante fonte normativa in materia è costituita dalla Grande Ordinanza della Marina del 1681, predisposta da Jean Baptiste Colbert, ministro della Marina mercantile francese sotto il regno di Luigi XIV, attraverso la quale è stato codificato l’intero settore del commercio marittimo e della navigazione. L’Ordinanza ha costituito un esempio per la codificazione normativa dei secoli successivi e senza dubbio esercitò una certa influenza anche in Italia, fino alla promulgazione del Codice della Navigazione, avvenuta con regio decreto n. 327/1942 (l’Italia era all’epoca una monarchia seppure sotto il regime totalitario dello stato fascista).
Il Codice è costituito da 5 parti:
1. Disposizione preliminari
2. Navigazione marittima e interna
3. Navigazione aerea
4. Disposizioni penali e disciplinari
5. Disposizioni transitorie e complementari

L’art. 1 del Codice della Navigazione stabilisce le fonti primarie del Diritto della Navigazione recitando che “In materia di navigazione marittima ed interna, si applica il presente codice, le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi ad essa relativi. Ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile”.
Essendo il Codice antecedente alla Costituzione (entrata in vigore nel 1948) quest’ultima non viene espressamente citata ma va considerata ovviamente prevalente. Analoga considerazione va fatta per le normative europee ed internazionali, che costituiscono a tutti gli effetti fonti primarie del diritto della navigazione.