Colpisce come l’Italia risulti quest’anno il sestultimo paese al mondo per tasso di natalità, avanti soltanto alla Corea del Sud, al Giappone e ad alcuni microscopici Paesi come Andorra, Montecarlo, Sant Pierre e Miquelon.
Quanto alle cause, si potrebbe pensare in prima battuta alla carenza sul territorio nazionale di asili nido e servizi per l’infanzia, ma un’analisi più approfondita consente di spostare il focus su un’altra problematica: l’infecondità delle donne italiane. Infatti, da un incrocio di dati, si evince che, pur in zone del Paese in cui gli asili nido e i servizi per l’infanzia sono adeguati alle esigenze (prendiamo ad esempio le province di Trento e di Rimini), il tasso di fecondità delle donne è crollato drasticamente dal 2008 ad oggi.
Chiariamo che per tasso di fecondità si intende il numero medio di figli per donna in età feconda (15-49 anni). In un’ottica generazionale, il tasso di fecondità che assicura ad una popolazione la possibilità di riprodursi mantenendo costante la propria struttura è pari a 2,1 figli per donna.
L’età media delle donne al parto è oggi di 33 anni circa. Si programma e si mette al mondo un figlio molto tardi (dal punto di vista biologico e riproduttivo) per ragioni sociali legate fondamentalmente al mercato del lavoro. Ciò non consente poi di avere altri figli.
Il presidente uscente dell’INPS, Gian Carlo Blanciardo, ha affermato in merito che neppure le politiche più efficaci sarebbero in grado di riavvicinare le nascite alla media di due figli per donna che mantiene inalterata la popolazione.
E niente … siamo destinati ad estinguerci per recessione demografica.
Si pensasse a questo, alla impellente necessità di una efficace politica di integrazione, di assistenza alle famiglie e di potenziamento dei servizi per l’infanzia, piuttosto che richiamare termini e concetti utilizzati in un passato indegno e biasimevole dal quale chiunque – tanto più un rappresentante del Governo – dovrebbe prendere le distanze!