Nel 2025 saranno trascorsi ottant’anni dalla sottoscrizione della Carta delle Nazioni Unite da parte degli allora 51 Stati (oggi ne sono 193, praticamente tutti) che presero parte all’accordo istitutivo della organizzazione internazionale con lo scopo più nobile ed ambizioso mai perseguito: quello di mantenere la pace in un mondo che usciva dilaniato da due conflitti mondiali che avevano provocato milioni di morti. L’ONU fu strutturata in questo modo: un’Assemblea Generale, composta dai rappresentanti di tutti gli Stati membri (ogni Stato membro può avere fino a un massimo di cinque rappresentanti ma dispone di un solo voto) con funzioni essenzialmente consultive, un Consiglio di Sicurezza (composto dai rappresentanti di quindici Stati membri di cui cinque c.d. “permanenti” – USA, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina – muniti del “potere di veto” cioè del potere di impedire, con il proprio dissenso, l’approvazione di una qualsiasi deliberazione) con funzioni esecutive, ed un Segretario Generale con funzioni essenzialmente rappresentative (al momento ricopre l’incarico il portoghese Antonio Guterres al suo secondo mandato). In un recente articolo apparso sul Corriere della Sera, l’editorialista Sabino Cassese ha espresso la necessità di ripensare – alla luce del multipolarismo che caratterizza l’attuale ordine mondiale – alla struttura organizzativa dell’ONU, anche alla luce dei recenti conflitti mondiali che vedono coinvolti, direttamente o indirettamente, alcuni dei membri “permanenti” dell’organo esecutivo dell’ONU, al quale è demandato il compito principale della stessa e cioè il mantenimento della pace. Gli studi e le negoziazioni per la riforma del Consiglio di Sicurezza sono stati avviati fin dall’ormai lontano 2009 ma, per decidere in merito, occorre il consenso dei due terzi dei voti dell’Assemblea a cui va aggiunta poi la ratifica da parte dei sigoli Stati. Le proposte che sono state avanzate sono diverse. Gli Stati Uniti propongono, ad esempio, di aggiungere agli attuali quindici due membri rappresentanti gli Stati africani, due membri rappresentanti gli Stati insulari, uno rappresentante l’India, uno il Giappone ed uno la Germania. Dello stesso avviso, praticamente, la Russia che si oppone, però, all’ingresso nel Consiglio di Sicurezza, del Giappone e della Germania. “Più articolata e più intelligente” secondo Cassese, sarebbe la proposta di un gruppo di 12 Paesi (Argentina, Canada, Colombia, Costa Rica, Italia, Malta, Messico, Pakistan Corea, San Marino, Spagna e Turchia) che prevede l’allargamento del Consiglio di Sicurezza a persone che rappresentano gruppi regionali, uno dei quali sarebbe l’Unione Europea. “Si otterrebbe, quindi, un risultato simile a quello della costituzione mondiale studiata a Chicago negli anni ’40 del secolo scorso, che prevedeva un Parlamento universale, fondato su elezioni regionali, in modo da creare una sorta di piramide con una base molto larga, per assicurare il rispetto dei principi” di uguaglianza, democraticità e rappresentatività, superando la forte asimmetria tra un mondo composto oggi da 193 Stati ed il Consiglio di Sicurezza nel quale sono presenti stabilmente cinque Stati muniti del potere di paralizzare ogni tipo di provvedimento (anche e soprattutto volto a sanzionare lo/gli Stato/i che violano il principio ispiratore della Organizzazione) e, a rotazione secondo un criterio geografico, soltanto altri dieci Stati, ben poco incisivi ai fini della predetta decisione.