Vi e’ mai capitato di sentirvi travolti da qualcosa che irrompe all’improvviso nella vostra vita e capovolge schemi e punti fermi che vi eravate dati?

Io credo che quando accade ci sono due modi per reagire.

Restare fermi e attendere che tutto passi benché, quando sara’ passato, e’ molto probabile che schemi e punti fermi siano comunque compromessi dalla foga e dal tumulto provocato dallo tsunami.

Oppure, assecondare quest’ultimo, lasciandosi travolgere dalla furia impetuosa del movimento e danzare con chi di questo movimento e’ causa e/o effetto.

Io non so cosa esattamente sia giusto. 

E’ gia’ da un po’ che ho abbandonato lungo il percorso della Vita quella spocchiosa consapevolezza giovanile di essere sempre all’altezza di sapere cosa fosse giusto e cosa no. Oggi non so nulla. Vivo. Non annego in un mare di incertezze e non vago arbitrariamente tra il tutto e il nulla. Ho dei punti fermi anche io. Un bagaglio valoriale consistente. Il mio rigore e la mia leggerezza. Cerco di dosare bene il tutto. E cosi’ vivo. Senza intossicarmi l’animo e cercando di non calpestare chi mi sta intorno.

Che, poi, fondamentalmente io, di gente intorno, non ne voglio. Sto bene, nel mio corpo e nella mia anima, cosi’ come sono entrambi … un po’ naïf. Anche poco convenzionali e un tantino egoisti,  quando ci vuole … nei confronti di chi ne approfitta. Di chi pretende senza dare. Di chi sconfina nelle altrui praterie tenendo ben tutelate le proprie. 

Ecco, dicevo. 

Io non mi arrogo il diritto di dire cosa e’ giusto e cosa no.

Credo di amare in maniera disinteressata e spontanea. Senza calcolo e, forse – e questo è preoccupante in eta’ adulta –  senza neanche raziocinio, talvolta.

Mi lascio andare, semplicemente. 

Forse anche in maniera spregiudicata, con poco senso del pudore, che quello l’ho perso all’eta’ di dodici anni quando, alle danzatrici in tournée estiva, veniva spesso richiesto il cambio del costume di scena dietro improbabili paraventi costituiti a volte da un paio di piante verdi ad alto fusto!

Come faccio a dire se sto nel giusto?

Non lo so. 

Ma forse, oggi, onestamente, neanche voglio saperlo. Cosa e’ giusto e cosa no.

So che vivere e godere di un bel momento di magia, da sola, in compagnia di amici o di persone interessanti e selezionate, e’ l’unica cosa che mi interessa veramente. L’unica per cui vale la pena anche rischiare. 

Emozionarmi, dissetarmi dopo periodi di disidratazione emotiva, godere dell’appagamento dei sensi e della mente, addormentarmi soddisfatta per aver nutrito l’anima e il corpo.

Spesso gia’ so che sara’ breve. Un periodo. Che finirà. Che per di piu’ non dipenderà da me. Ma non importa. Forse e’ proprio questo che mi fa essere cosi risoluta nell’affrontarlo. Non mi preoccupo dell’epilogo … che a me spaventa sempre. E tendo a fuggire. In fondo basta vivere. Come si dice: “il viaggio e’ sempre piu’ bello della meta”.

Ecco, io vivo e basta, stop, fine. 

Lo so, e’ paradossale. 

Ma e’ cosi’. 

C’e’ chi lo trova triste. 

Perché migliaia di film – soprattutto quelle mielose commedie americane di cui ci siamo nutriti durante l’adolescenza – ci hanno abituato a credere all’utopia del “per sempre”. 

Il “the end” che non puo’ mancare.

Il lieto concludersi di tutti gli eventi, soprattutto quelli sentimentali.

Io no.

Io non lo trovo triste. 

Soltanto, vero.

Semplicemente, drammaticamente realista.